Giuseppe Remuzzi, Corriere della Sera 16/02/2011, 16 febbraio 2011
QUEGLI ANTICORPI CHE FANNO AMMALARE CHI HA TRA I 20 E I 50 ANNI
Dell’influenza pandemica H1N1 s’era detto di tutto («farà decine di migliaia di morti all’anno solo in Italia» , «no, è una forma lieve meno grave di quella stagionale» ). Non è vera né l’una né l’altra cosa. H1N1 può essere gravissima e portare alla morte, ma può avere un decorso più favorevole di quella stagionale. È un po’ come se fossero due malattie (Corriere, 11 settembre 2009). Conta molto l’età. Chi ha più di 55 anni in generale non si ammala, e se si ammala è una influenza lieve, di solito (può complicarsi con infezioni batteriche soprattutto in chi è già malato di cuore o di polmoni o ha il diabete, ma questa è un’altra storia). Ma perché chi ha una certa età rischia di meno? Prima del 1957 circolava già un virus H1N1 molto simile a questo. Chi è nato prima di allora ha anticorpi contro H1N1 che sono capaci di neutralizzare il virus e renderlo inoffensivo. Chi oggi ha 20-50 anni invece il virus H1N1 non l’ha visto mai, non ha anticorpi e si ammala. Come i bambini, che però hanno una malattia meno grave dei giovani adulti. Non solo, ma più i bambini sono piccoli meno l’influenza fa paura. Tutto il contrario di quello che ci si poteva aspettare. Perché? Gli scienziati ci stavano lavorando da un po’, ma una risposta sicura non c’era. Ci sono arrivati microbiologi di Buenos Aires e Nashville (il lavoro è stato pubblicato in questi giorni su Nature Medicine). L’idea è semplice ma geniale: chi oggi ha 20-50 anni è stato esposto per tanti anni di fila ai diversi virus delle influenze stagionali e nel suo sangue circolano tanti tipi di anticorpi. Molti di questi anticorpi si legano anche al virus H1N1 ma non lo sanno neutralizzare. Questo legame però forma complessi immuni — sono aggregati di anticorpi e proteine del virus— che arrivano fino agli alveoli del polmone, proprio dove avvengono gli scambi respiratori. Si comincia a stare male, manca l’aria, serve l’ossigeno. L’organismo vorrebbe eliminarli questi complessi immuni e lo fa attraverso un sistema di proteine che i medici chiamano «del complemento» (e che i ricercatori di Nashville hanno trovato nei polmoni di chi è morto di influenza). Dove c’è attivazione del complemento però c’è danno, sempre. La polmonite viene da lì. I virus dell’influenza non sono nuovi a far danno attraverso complessi immuni e complemento, è già successo nel 1957 durante una epidemia pandemica di H2N2. Come lo sappiamo? I ricercatori di Nashville sono andati negli archivi dell’anatomia patologica del loro Ospedale hanno trovato sezioni di polmone di persone morte di influenza e hanno studiato questi preparati con le tecniche di oggi. Nei tessuti meglio conservati c’erano segni di malattia da immunocomplessi e attivazione del complemento proprio vicino agli alveoli e ai bronchi più piccoli. Naturalmente si sono accertati che lì ci fosse anche il virus e l’hanno trovato. Insomma, non è il virus a fare danno (ecco perché certe volte questa influenza sembra più lieve di quella stagionale) e nemmeno la risposta infiammatoria al virus come si pensava fino a poche settimane fa, ma gli immunocomplessi e il complemento. Ed ecco spiegato il paradosso dei bambini che si ammalano facilmente e dei giovani adulti che si ammalano di meno ma di forme più gravi. Si tratta di uno studio molto importante che non ci spiega soltanto cosa succede a chi contrae le forme più gravi di influenza ma che apre prospettive di cura del tutto nuove, oggi per esempio ci sono farmaci che impediscono l’attivazione del complemento nei tessuti. «L’influenza è sempre imprevedibile e questa H1N1 pandemica lo è forse più di ogni altra» . È davvero così.
Giuseppe Remuzzi