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 2011  febbraio 16 Mercoledì calendario

COME NON ABROGARE IL REFERENDUM ABROGATIVO

Ormai da molti anni nel nostro Paese si può notare un crescente malcostume circa l’istituto del referendum. Quando ci si avvicina a un appuntamento del genere, chi dissente invita sempre più spesso a non recarsi alle urne per far fallire i quesiti referendari. Invece io penso che sarebbe più corretto se i partiti consigliassero i propri elettori di opporsi votando in senso contrario a quello posto dal quesito referendario. Non crede che tutto ciò contribuisca a far perdere valore e interesse per questo strumento di partecipazione democratica e libertà?
Antonio M. Orlando
antor.9449@yahoo.it
Caro Orlando, l’ invito a disertare le urne cominciò con Craxi nel 1991, quando fummo chiamati a votare sulla preferenza unica, e fu determinante quando il cardinale Ruini chiese agli italiani di non partecipare ai quattro referendum sulla procreazione assistita. Credo che lei abbia ragione e sono convinto, come è stato scritto più volte su questa pagina, che il miglior modo per rilanciare l’istituto del referendum sia quello di eliminare o abbassare il quorum e di raddoppiare il numero di coloro che lo chiedono (oggi sono 500.000). Ma all’origine della crisi vi sono due fattori strettamente collegati. Il primo risale alla decisione della Corte costituzionale di consentire che il quesito— volete abrogare? — concernesse non l’intera legge, ma parti diverse di una stessa legge. Da quel momento gli italiani hanno trovato nei seggi, al momento del voto, schede incomprensibili. Sotto l’impatto degli slogan pronunciati durante la campagna elettorale, gli elettori credevano di ottenere un risultato semplice e chiaro: abrogare o conservare. Non capirono che quella microchirurgia avrebbe prodotto, nella migliore delle ipotesi, una legge ambigua. Il caso più evidente è quello del referendum sulla energia nucleare nel 1986. Gli italiani che votarono sì alla abrogazione, nel 1986, credettero di avere raggiunto il loro scopo. Sbagliavano perché nessuna delle norme abrogate vietava espressamente la costruzione di centrali. Pur essendo favorevole all’energia nucleare, posso comprendere perché molti di essi siano oggi delusi e arrabbiati. Il secondo fattore è l’uso smodato che alcuni gruppi e movimenti (soprattutto il partito radicale) hanno fatto del referendum. Ve ne sono stati otto nel 1993, dodici nel 1995, sette nel 1997, sette nel 2000. E molti di essi sono finiti, per mancanza di quorum, nel cestino della carta straccia con un inutile dispendio di energie e di denaro. Come ha detto Michele Ainis con una felice battuta, abbiamo finito per abrogare il referendum abrogativo. Peccato. Anche le democrazie indirette, come quelle di tutti i maggiori Stati europei, hanno bisogno di istituti che consentano il coinvolgimento della società nella gestione della cosa pubblica. Ma occorre che i cittadini sappiano con precisione quale sarà il risultato del loro voto. Abbiamo constatato che la Corte costituzionale non si limita a cassare le leggi considerate anticostituzionali. Le modifica con interpretazioni che tolgono o aggiungono qualcosa. Credo che dovrebbe cercare l’occasione per restituire agli italiani il diritto di sapere quale sarà l’effetto dei loro sì e dei loro no.
Sergio Romano