GABRIELE BECCARIA, La Stampa 16/2/2011, pagina 27, 16 febbraio 2011
Dna, l’avventura inizia adesso - Com’è bizzarra la doppia celebrazione del decennale, ma lui se la merita davvero: il protagonista è il Genoma umano, il libretto di istruzioni biologiche che ci fa essere ciò che siamo
Dna, l’avventura inizia adesso - Com’è bizzarra la doppia celebrazione del decennale, ma lui se la merita davvero: il protagonista è il Genoma umano, il libretto di istruzioni biologiche che ci fa essere ciò che siamo. L’anno scorso ci si è emozionati ripensando al grandioso evento alla Casa Bianca, quando il 26 febbraio 2000 Bill Clinton e Tony Blair annunciarono la decifrazione dei nostri geni e l’inizio di un’era straordinaria. Quest’anno si fa il bis, ricordando che il 12 febbraio 2001 due articoli - su «Science» e su «Nature» - spiegarono che l’obiettivo del sequenziamento del Dna era stato finalmente raggiunto. Dieci anni sono tanti nell’universo parallelo della scienza, pari a un’era geologica, e uno sguardo all’indietro è essenziale per preparare le mosse future. Oggi sappiamo cose che mai avremmo immaginato e presto aggiungeremo altre sorprese al bagaglio delle scoperte. Charles Darwin sarebbe orgoglioso dell’intraprendenza dei suoi pro-pronipoti. L’ultimo «eureka» gli scienziati - riuniti in un team internazionale di 57 ricercatori provenienti da 26 istituzioni - l’hanno gridato pochi giorni fa, mentre testavano un nuovo metodo per analizzare un territorio del Dna finora trascurato, quello delle varianti strutturali. Ai non specialisti sono differenze che dicono poco, ma interi team di studiosi ne sono innamorati: nell’apparente caos delle cancellature, duplicazioni, inserzioni e inversioni all’interno delle sequenze genetiche si iniziano a leggere le differenze che ogni individuo porta incise dentro di sé. E’ una via maestra per spiegare molte malattie e, quindi, trasformare in realtà la medicina personalizzata, l’insieme di terapie mirate di cui tanto si parla e che, al momento, abbonda di promesse e scarseggia di risultati clinici. Ma adesso potrebbe essere davvero vicina la svolta, come ha spiegato Charles Lee, citogenetista del Brigham and Women’s Hospital di Boston e copresidente del progetto. Le varianti identificate sono 28 mila, una miniera da cui estrarre informazioni decisive sul perché una persona è simile a un’altra, ma molto diversa rispetto a un’altra ancora. I dati si affiancheranno a un filone parallelo, che si concentra sui cosiddetti «polimorfismi a singolo nucleotide», in gergo gli Snp: si tratta delle differenze in una delle 4 lettere del Dna che possono spiegare la predisposizione - o peggio la vulnerabilità - a una specifica aggressione, dal diabete ai tumori. Adesso si sta realizzando un catalogo, che va sotto il nome di Progetto Hapmap, e, come se non bastasse, prosegue a ritmo spedito il lavoro di Tim Hubbard, a Cambridge, noto come Encode: acronimo di «Encyclopedia of Dna elements», il suo obiettivo è identificare tutti i meccanismi che fanno funzionare il Genoma e lo rendono una macchina di straordinaria efficienza. Varianti strutturali, Hapmap, Encode. A chi non è del settore sembra di assistere a un ipnotico gioco di scatole cinesi. C’è chi osserva, poeticamente, che la conoscenza del Dna riverbera quella dell’Universo: anche nell’infinitamente piccolo c’è tanta materia oscura quanta se ne annida nell’infinitamente grande. In realtà i ricercatori si consolano sottolineando che un decennio di studi ha permesso scoperte straordinarie e quindi una serie di eureka a ripetizione. Dotazione meno ricca Oggi, per esempio, sappiamo di avere una dotazione di geni molto meno ricca di quanto si pensasse e cioè non 100 mila, ma poco più di 20 mila, solo una decina di volte più del modesto batterio unicellulare Haemophilus influenzae. Sappiamo anche che non tutti codificano le proteine che ci costruiscono, ci regolano e ci danno energia. Anzi. Appena il 2% funziona da ricettario per queste sostanze-chiave, tutto il resto si occupa d’altro. E non è affatto «junk» - spazzatura - come è stato impropriamente definito. Trascritto in un altro tipo di molecole, l’Rna, svolge una funzione essenziale per regolare l’attività del Dna stesso. E’ il software, che supervisiona l’architettura dei geni e le loro prestazioni, mantenendo l’ordine contro incombenti tendenze anarchiche e, probabilmente, potrebbe anche spiegare come alcuni pezzi del vasto puzzle si accendono o si spengono in risposta ai segnali dell’ambiente. Di certo, non c’è nulla di spietatamente fisso nel nostro codice biologico, semmai è all’opera una danza continua, in cui agenti interni e agenti esterni promuovono la coreografia della vita. Per capirla è nata una nuova disciplina, l’epigenetica. E’ questa una delle spettacolari manifestazioni dell’«effetto Genoma»: la decifrazione, che ha richiesto 14 anni e 3 miliardi di dollari, ha prima di tutto messo in moto un modo di fare ricerca aperto, in cui supercomputer e team internazionali lavorano insieme, democratizzando la diffusione e la gestione dei dati. Non solo. Mentre sta svelando la nostra origine di Sapiens e le migrazioni primigenie lungo il globo, ha già trasformato in pratiche standard gli esami genetici e consentirà - è la promessa - di riparare le anomalie alla base di ogni sindrome. Da impresa lineare fondata sull’osservazione la biologia è ascesa a scienza dei sistemi, irrorata dalle logiche della complessità: la regina dei laboratori del XXI secolo mobilita gruppi multidisciplinari, in cui i medici interagiscono con i matematici e gli informatici collaborano con i genetisti, e approda - con i test del celebre Craig Venter - alle prime forme di cellule sintetiche. Se «diventa sempre più difficile definire perfino che cos’è un gene» (parole di Robert Plomin, professore al King’s College di Londra), «adesso sembra di scalare una montagna che diventa via via più alta - ha sottolineato Jennifer Doudna della University of California at Berkeley -: più conosciamo il Dna e più ci rendiamo conto che c’è ancora moltissimo altro da sapere».