
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
A quarantott’ore dalla strage sulla Mavi Marmara, la situazione in poche parole è questa: il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha condannato l’azione israeliana, chiesto un’indagine ”indipendente e trasparente” e il rilascio dei 610 prigionieri. La Nato s’è mossa sulla stessa linea.
• Che dice Israele?
Israele respinge tutte le accuse e sostiene che sulla sesta nave, in mezzo a 500 passeggeri, c’era un gruppo di terroristi o almeno di provocatori che ha cercato ad ogni costo l’incidente e tentato di impedire, con sbarre di ferro, coltelli e due pistole, l’operazione di controllo da parte del commando di Tel Aviv. Il punto di vista del capo del governo, Netanyahu, e del ministro della Difesa, Ehud Barak, è condiviso dal principale esponente dell’opposizione, Tzipi Livni. «Si è scelto il male minore» ha detto la Livni a Maurizio Caprara del Corriere della Sera «A raccontare il caso sono le immagini. Non è questione di versione israeliana, è questione di verità, di realtà. Il primo soldato entrato nella nave è stato picchiato da un sacco di gente. Nel modo più violento. […] La sola cosa da fare era contrattaccare. Per salvargli la vita e fermare la nave, che era la missione. Di sicuro c’è un danno politico. Ma in Medio Oriente la scelta è sempre tra opzioni ugualmente cattive». I morti finora accertati sono nove.
• Gli italiani?
Sono ancora lì. I passeggeri delle sei navi sono stati trasferiti ad Ashtod, nel Distretto Sud di Israele a 70 chilometri da Gerusalemme. Qui hanno due possibilità: essere espulsi, ammettendo le proprie responsabilità; oppure farsi processare. I quattro italiani non hanno voluto ammettere alcuna responsabilità e hanno quindi rifiutato l’espulsione. Il ministro Frattini ha detto ieri sera al Tg3 che, nonostante questo, non devono essere considerati prigionieri. «Gli italiani hanno chiesto un processo di identificazione. Sono in buone condizioni. La donna è un po’ provata». In definitiva, è probabile che siano giudicati per ingresso illegale nello stato di Israele. La donna di cui parla Frattini è Angela Lano, giornalista, torinese, direttrice dell’agenzia di stampa Infopal. Gli altri tre sono Manolo Luppichini, videomaker free-lance romano, Manuel Zani, fotografo e videomaker freelance di Cesena, Giuseppe "Joe" Fallisi, tenore 50enne milanese. C’è anche un cittadino mediorientale con passaporto italiano, Muin Qaraqe, giordano residente a Milano, dove ha moglie e tre figli. Altri due italiani che dovevano far parte della spedizione sono rimasti a Larnaca, con le due navi bloccate da guasti tecnici (la piccola flotta all’inizio doveva essere composta da otto unità): Monia Benini e Ferdinando Rossi, leader della formazione Per il bene comune.
• Ferdinando Rossi mi ricorda qualcosa.
E’ quello che fece cadere Prodi nel 2007 votando contro la mozione di politica estera di D’Alema, espulso poi per questo dal partito.
• In definitiva questi pacifisti che stavano a bordo della nave turca erano pericolosi o no?
I movimenti più importanti che hanno organizzato la Freedom Flotilla sono: Free Gaza Movement (FG), European Campaign to End the Siege of Gaza (ECESG), Insani Yardim Vakfi (IHH), Ship to Gaza Grecia, Ship to Gaza Svezia, e la International Committee to Lift the Siege on Gaza. Oltre a questi, decine e decine di altri più piccoli o addirittura minuscoli. La sigla più sospetta e quella dell’Ihh, che ha fornito tre delle sei navi, tra cui la Mavi Marmara acquistata a suo tempo per 800 mila dollari. Fondata nel 1992, registrata a Istanbul, secondo i servizi israeliani il suo fondatore Yildirim ha forti legami con il leader di Hamas a Damasco Khaled Meshaal e con i fratelli musulmani in Egitto. Finanzierebbe – sempre secondo gli israeliani – parecchi gruppi terroristici. Un altro analista, l’americano Evan Kohllman, avrebbe scoperto collegamenti con al Qaeda ed esponenti della Jihad internazionale. I servizi francesi dànno notizie su Yildirim: alla metà degli anni Novanta faceva il reclutatore di veterani da mandare in Bosnia. Vittorio Da Rold ha raccontato che lo scorso 7 aprile, in una conferenza stampa a Istanbul, Yildirim preannunciò che la Flottilla sarebbe stata «una prova» per lo stato ebraico. «Se Israele dovesse opporsi alla flottiglia sarebbe come una dichiarazione di guerra da quei paesi i cui attivisti si trovano a bordo delle navi».
• Quindi non proprio mammolette.
No. Infatti Abu Mazen ha detto che vuole riprendere i colloqui indiretti, che è un buon segno. Anche se l’Irish Palestine Solidarity Campaign ha annunciato che una sua nave, la Rachel Corrie, tenterà nuovamente di forzare il blocco di Gaza. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 2/6/2010]
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