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 2010  giugno 02 Mercoledì calendario

STA ARRIVANDO IL SETTIMO CAVALLEGGERI DEGLI ENTI INUTILI

Nella parte d’Antonio La Trippa, il candidato alle elezioni protagonista d’un classico del cinema, Gli onorevoli di Sergio Corbucci, Totò si rivolgeva così agli elettori di Roccasecca sporgendosi dal palco del comizio: «Cittadini di Roccasecca_ secca per modo di dire». Allo stesso modo, in questi giorni di tagli sfrenati della spesa pubblica, quando la scure di Giulio Tremonti, lo spietato ministro dell’economia e delle finanze, s’abbatte sulle persone giuridiche che mangiano a tradimento il pane dell’amministrazione pubblica, anche gli enti detti inutili stanno diventando «inutili per modo di dire». Persino il presidente della repubblica ha definito «rozzo» (così si legge sui giornali) l’elenco degli enti che il nordista Tremonti intende affogare come gattini. Si fa presto, d’altra parte, a dire «ente inutile». Come se gli enti inutili (compreso il Centro studi sulla cultura e l’immagine di Roma, per capirci, e persino l’Ente nazionale Giovanni Boccaccio di Firenze o il Centro Pio Rajana di Roma) non fossero utilissimi a chi ci lavora godendo di generose sinecure e maturando cospicue pensioni. Non c’è dipendente d’ente inutile che non tenga famiglia o che non sia convinto di fare un lavoro doveroso, onesto e addirittura vantaggioso per la comunità. Chi ruba uno stipendio_ pardon, chi si guadagna da vivere timbrando il cartellino dell’Associazione per l’economia della cultura di Roma, della Stazione sperimentale del vetro di Murano o della Fondazione Casa di Oriani di Ravenna non capisce perché dovrebbe rinunciare al suo posto al sole. Annunciano proteste e anche sommosse anche il Centro culturale di storia amalfitana, il benemerito Osservatorio parlamentare romano, l’Ateneo di scienze, lettere e arti di Bergamo, il Centro studi sul classicismo di San Gimignano, l’Istituto italiano di studi romani con sede nella capitale, la Società entomologica italiana, il Centro studi Piero Gobetti di Torino e l’Istituto storico lucchese. Stefania Craxi non capisce perché i contribuenti e il ministero del tesoro rifiutino di finanziare la fondazione intitolata a papà suo. Sandro Bondi, ministro della cultura, abituato a obbedire perinde ac cadaver, berlusconiano di ferro, non ha niente contro i tagli in sé e per sé, anzi detesta gli sprechi e pensa che «il peso dello stato nella società italiana vada alleggerito», però vorrebbe essere lui a decidere quando e dove. Invece gli hanno tagliato i fondi senza nemmeno consultarlo o avvertirlo con una telefonata. «Solo» com’è «in un mondo de sinistra», dove i tagli (come si legge su Repubblica, un catalogo d’arte e anzi una pinacoteca quotidiana, giornale museale, praticamente il Louvre o la Galleria degli Uffizi del giornalismo italiano) sono considerati «un pasticcio», e persino un «attacco a cultura e bellezza», proprio a lui fanno mancare i fondi! Per fortuna è subito volato in suo soccorso il Settimo cavalleggeri dell’opposizione. Persino Leoluca Orlando si è detto solidale col ministro. Anche Giovanna Melandri (che ai tempi di Romano Prodi era ministra della cultura come lui) ha consolato Bondi con quattro parole gentili. Tutti lo invitano a dare le dimissioni e a provocare almeno qualche imbarazzo alla maggioranza, che non merita altro. Lui, per il momento, non abbocca, ma ha l’aria soddisfatta. Questa presa di posizione, la pubblica protesta del ministro della cultura contro i tagli «non condivisi», ne ha fatto una specie di Che Guevara agli occhi dell’opposizione, che ieri stravedeva per i distinguo di Gianfranco Fini e oggi tifa per lui, già fedelissimo del Cavaliere, che ha messo coraggiosamente il broncio al governo boia.