Federico Fubini, Corriere della Sera 02/06/2010, 2 giugno 2010
I DERIVATI SULL’ITALIA E LA CATENA DEI MERCATI
In un mondo dominato da grandi istituzioni che investono per sé e per i clienti, il pensiero unico prevale. Tutti operano come tutti gli altri, entro schemi che prevedono un’àncora attorno alla quale ruota l’intero sistema. Due anni fa l’àncora era il dollaro: più cadeva, più saliva il prezzo delle materie prime (e viceversa). Oggi, nella logica del gregge, l’àncora di tutte le correlazioni è l’euro. Quando si deprezza, tutta un’altra serie di mercati distanti fra loro seguono con reazioni pavloviane. Cala lo S&P 500 (principale listino di New York) perché si presume che l’euro e l’Europa deboli freneranno l’export americano. Calano il petrolio e il dollaro australiano, considerati termometri della crescita globale, perché la crisi europea e la frenata americana potrebbero ostacolare la ripresa internazionale. Sale o resta alto il tasso Libor, perché le banche non si fidano a prestarsi denaro a vicenda (temono che falliscano gli Stati che le garantiscono e di cui hanno titoli in bilancio). E sale anche il rischio percepito nei governi del sud dell’area-euro. Ogni spostamento su uno di questi beni, può innescare tutti gli altri. Ieri mattina, la catena si è messa in moto con i dubbi della Bce sulle prospettive delle banche dell’area. Il premio dei Cds sull’Italia, derivati d’assicurazione sull’insolvenza del Paese, sono schizzati di 0,5% sui titoli a 5 anni. Il rischio-Paese è cresciuto anche per Irlanda, Spagna, Portogallo e Grecia (per Chiara Cremonesi di Unicredit è una tendenza su una classe di Paesi), l’euro è sceso, le Borse anche e il Libor è rimasto alto. Solo per qualche ora l’ingranaggio si è rotto: gli investitori hanno creduto ai segni di ripresa in America e l’S&P è risalito (risollevando l’euro), per poi però chiudere in rosso. Finché sul mercato domineranno pensiero unico e teorie del domino, il rischio del panico resta dietro l’angolo.
Federico Fubini