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 2010  giugno 02 Mercoledì calendario

ANDATEVENE, O AMMAZZEREMO I VOSTRI RAGAZZI

di Imma Vitelli

Come ogni anno, da più di trent’anni, con la neve sciolta sui monti, e i ribelli in avanzata sui valichi, è di nuovo stagione di combattimenti, in Afghanistan. Si piantano nuove rudimentali bombe, si lanciano nuovi audaci blitz: è stata una settimana orribile, quella passata, per gli eserciti Nato, una buona settimana per gli uomini del mullah Ornar e dei loro alleati.

«Abbiamo un messaggio per il popolo italiano: andatevene, o sarete cacciati dai lupi dei monti dell’Afghanistan. Andatevene, o dovremo continuare ad ammazzare i vostri giovani». A parlare con Vanity Fair è QariYusefAhmadi, portavoce dei talebani. Rivendica l’esplosione, nella provincia di Badghis, che ha ucciso il caporale Luigi Pascazio, di 25 anni, e il sergente Massimiliano Ramadù, di 33, gli ultimi due caduti italiani. Rivendica pure l’attentato di
Kabul del giorno dopo (con altri sei soldati occidentali più 12 civili morti) e l’inedito e ardito attacco a Bagram, la principale base Usa, e la soddisfazione di aver eliminato, dal 2001, mille «nemici americani».
«Il popolo italiano», dice Qari il Talebano, «deve capire che gli invasori americani sono qui per ammazzarci, e i vostri militari sono qui per dargli una mano. Gli amici dei nostri nemici, sono nostri nemici. Se gli italiani non fossero nella nostra terra, non li ammazzeremmo. Allora vi chiedo: che cosa ci fate, in Afghanistan?».

Badghis è una delle province più miserabili, al confine col Turkmenistan, terra di pistacchi e brulle colline, abitata da un mix di turcomanni, tagiki, uzbeki e pashtun. Li, come al-
trove, la guerriglia gode di ottima salute: «Come in altre parti del Paese, abbiamo le nostre istituzioni: il governatore e il giudice, che applica la sharia, la legge islamica. La gente si
rivolge a noi, quando ha delle dispute», si vanta il Talebano. Provata prima dalla siccità, poi dalle inondazioni, dunque dalla fame, e soprattutto dalla guerra, la gente in realtà è stanca.

Nel mezzo delle ormai regolari battaglie, capita che i civili restino sul campo, e che sia impossibile reclamarne i corpi, e seppellirli, tra il fuoco incrociato del governo o chi per lui,
e degli insorti. Nell’ultimo anno, le cose sono perfino peggiorate, con l’arrivo sui monti di nuovi gruppi armati.

Il leader della rivolta, ci dice il capo della polizia di Badghis, Sayed Sami, è tale Molavi Mohammed Ismail. Prima dell’invasione, ai tempi del mullah cieco, quando a Kandahar
svernava Osama, era un comandante talebano di medio livello. «Ha un migliaio di combattenti sulle montagne di Baia Morghab, Qadis e Maqur», spiega Sami. «Quando as-
sieme all’esercito e alle forze Nato lanciamo operazioni in quelle aree, siamo accolti da bombe e fuoco».
Non vanno molto bene le cose, in questo estremo fronte nordoccidentale, eppure Dilbar Jaan Arman, il governatore di Badghis, professa fiducia. «Gli italiani stanno facendo
un buon lavoro», ci dice, «il popolo li apprezza».
 vero, ammette, l’insurrezione è forte: «Tuttavia la zona a Sud di Baia Morghab l’abbiamo bonificata e stiamo lavorando per cacciare i terroristi anche dal Nord». Il governatore
mi da l’impressione di un giardiniere che poti una siepe convinto che non ricresca. Passa soltanto un giorno dalle sue parole e già sulla mulattiera per Baia Morghab, la stessa su cui è saltato in aria l’ultimo blindato Linee, si notavano nuovi macabri fili, forieri di nuove bonifiche, e di nuovi botti.