Francesco Bonami, Il Riformista 2/6/2010, 2 giugno 2010
UNA NAPOLEONE A STELLE E STRISCE
Lei Fu. Così potrebbe iniziare la poesia ”Il 31 Maggio” dedicata a una Napoleone dell’arte, Louise Bourgeois, scultrice francese trapiantata a New York in una casa a Chelsea, prima che quel quartiere diventasse l’epicentro dell’arte contemporanea mondiale. 98 anni. L’ha portata via un infarto, fermando un cuore che a volte sembrava di marmo, ma che in realtà batteva con grandissima, anche se ben celata, passione. La intervistai per la rivista Flash Art alla metà degli anni 90. Già allora, più che vecchia mi sembrò antichissima. Indossava un berretto da scaricatore di porto e beveva cioccolata calda. Incuteva rispetto e terrore. Anche se piccolissima, temevi sempre che alla domanda sbagliata ti avrebbe tirato una ginocchiata nei testicoli. D’altronde, il suo rapporto con i maschi è sempre stato conflittuale.
I suoi scritti dal 1927 al 1997 s’intitolano Destruction Of The Father / Reconstruction Of The Father (MIT Press,1998) ”Distruzione del padre / Ricostruzione del Padre”, la dicono lunga sul suo rapporto con il sesso opposto. A vederla sembrava una ”bourgeois” piccola piccola, mentre è stata una delle più grandi artiste viventi, continuando a lavorare fin quasi alla fine, appassionata dal lavoro, sempre più annoiata dalle castronerie sparate da critici e curatori sull’arte e in particolare su di lei.
Nonostante gli anni, Louise Bourgeois aveva mantenuto lo spirito sia della bambina indifesa che quella di un marrano alla Gianburrasca sempre pronto a sfidare le convenzioni. La sua arte era il suo mondo e il suo mondo era la sua arte. Un universo autoreferente fatto di magia, mistero e traumi. Ogni sua scultura è un dramma umano, più che una forma una sensazione. Paura oggi, angoscia domani, ribellione sempre. Nessuno immaginerebbe che questa vecchietta fornita di una buona dose di sadismo era stata figlia, moglie e madre, se non modello, sicuramente esemplare. Il padre, un restauratore di arazzi in un piccolo paese vicino a Parigi, voleva un maschio dopo la morte della prima figlia, invece arrivò lei, Louise. Monsieur Bourgeois non provò nemmeno a nascondere il proprio disappunto e lei fin da piccola imparò ad odiarlo così tanto che un giorno durante un pranzo fece con la mollica di pane un ritratto del papà e se lo pappò. La madre era una femminista antelitteram, ma la Bourgeois non ha mai voluto essere una guerrigliera della vagina, anche se è sempre stata un punto di riferimento per le artiste più impegnate.
Riferimenti sessuali nella sua arte, comunque, non mancano. La sua scultura è tutta, come i suoi scritti appunto, un fallo e un disfallo. Famoso il ritratto che gli fece Mapplethorpe nel 1982 con un’enorme scultura del 1968 a forma di pene sotto il braccio intitolata Filette, figliolina o ragazzina, tanto per dare l’idea di come il rapporto con il padre fosse stato complicato. Nel 1938 Louise Bourgeois sposò lo storico americano Robert Goldwater, con il quale si trasferì per sempre in America. La sua prima mostra è nel 1940 con sculture di legno ispirate a Brancusi. Il Moma ne comprerà una, ma per arrivare al successo l’artista dovrà aspettare parecchio. Nel 1982 sarà però proprio il Moma a dedicargli una grande retrospettiva. Per anni nel suo salotto si riunivano artisti molto più giovani di lei a discutere dell’arte e della vita. Al suo fianco da sempre il fedele assistente Jerry Gorovy, un po’ maggiordomo, un po’ figlio, un po’ amico, magari anche commercialista.
I materiali che usava erano diversi e infiniti. Dal marmo, alla stoffa - ricordando forse quando aiutava i genitori a riparare gli arazzi-, al legno, agli oggetti trovati che organizzava nelle sue famosissime e claustrofobiche ”celle”. In mezzo secolo di intensa, vorace produzione artistica, non è possibile capire cosa venga prima o cosa venga dopo fra le opere della Bourgeois. Tutto sembra fatto oggi o forse più esattamente nello stesso momento, come se questa donna avesse vissuto in un unico eterno istante, in un universo creativo e psicologico chiuso come, appunto, una delle sue stanzette-prigione. Molti ricorderanno i ragni di bronzo giganti sul terrazzo della Tate Modern a Londra intitolati ”maman”, mamma, come per dire che se il babbo era egoista anche la mamma qualche difettuccio lo aveva. Il suo obiettivo era quello di disturbare il sonno degli spettatori facendoli piombare nel proprio inconscio come una Freud dell’arte. Diceva: «Come persona sono una vittima, ma come artista sono un’assassina».
Se scoprissero che aveva qualche cadavere in cantina, come le signorine di Arsenico e Vecchi Merletti nel film di Frank Capra con Cary Grant, nessuno si meraviglierebbe. Ma è più facile che nel suo sottosuolo ci siano solo sculture come quella di mollica fatte per superare il trauma del padre. Per questa parigina in America che non aveva mai perso il forte accento francese, l’arte era uguale alla vita. «Io sono quello che faccio», ha dichiarato. Quindi ora una lupa di marmo, ora una spirale di alluminio, ora una sfera di pietra o un corpo di bronzo dorato. Tutto dentro le sembianze di una nonna con la curiosità di una Alice nel paese delle meraviglie, o meglio nel pozzo degli incubi.
Amica di Marcel Duchamp, maestro dell’orinatoio griffato, lo compativa perché «impotente», sfatando il mito del grande priapico ”trombeur”. Sicuramente Louise Bourgeois impotente non era. Se nascendo a Natale non fece un bel regalo al padre, è stata sicuramente un’eterna sorpresa per il mondo dell’arte sul quale ha continuato a sparare con la potenza e l’imprecisione delle cannonate. Quando andava a segno era micidiale, quando mancava il bersaglio erano disastri. Lei Fu, ma fin quando è stata Louise Bourgeois non si è mai fermata.