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 2010  giugno 02 Mercoledì calendario

L’ALTRA META’ DELLA BEAT GENERATION

Era una delle ultime bandiere della beat generation, Peter Orlovsky, morto di tumore a 76 anni. Anche se la sua notorietà si dovette almeno in parte alla relazione omosessuale con Allen Ginsberg, un paio almeno di sue raccolte poetiche meritano di essere rammentate per la significativa programmaticità dei titoli. Penso a Clean Asshole Poems (che tradurrei con «Limpide poesie del buco del culo»), sottotitolo, non meno emblematico, Smiling Vegetable Songs («Canti verdurini sorridenti»), e a Dear Allen: Ship Will Land Jan 23, 58, «Caro Allen, la nave approderà il 23 gennaio ”58».
Conobbi Orlovsky in modo abbastanza singolare. Ginsberg mi aveva invitato nei primi anni 60 a casa sua a Soho, New York. A mezzogiorno, come convenuto, bussai alla porta socchiusa dell’appartamento e, visto che nessuno mi apriva, mi presi la libertà di entrare. D’improvviso, quasi sulla soglia, comparve un vigoroso giovane completamente nudo, che mi salutò cordialmente. Era Orlovsky, il quale si scusò perché al momento Allen non si sentiva bene. Sfido, era fatto. Rimandammo l’incontro, ma rimanemmo a discorrere in cucina, dove figurava un frigo con i ritratti di Baudelaire e di Poe incollati. Se pure Orlovsky viveva alla luce della passione con Ginsberg, era comunque una personalità tutt’altro che subalterna, e ha lasciato il segno.
Naturalmente, sappiamo bene che la figura cruciale della «mistica beat», come si tende a definirla, fu Ginsberg, certo più di Kerouac, e giustamente lo spiega ora Bill Morgan nel suo The Typerwriter is Holy, «La macchina da scrivere è santa». Non sono pronto a sottoscrivere al cento per cento l’idea di Morgan che i beat aprirono una nuova stagione non soltanto letteraria negli Stati Uniti, quella destinata letteralmente a inventare Obama. Diciamo, però, che hanno dato, e come, una mano.