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 2010  giugno 02 Mercoledì calendario

PICASSO SEGRETO: VOLEVA FARE LA PACE CON FRANCO


Clicca sull immagine per ingrandirla Incontrare John Richardson, il biografo di Picasso, è come incontrare Vasari e farsi raccontare di Michelangelo. Solo che ascoltandolo viene il paradossale sospetto che Picasso fosse un personaggio molto più complicato da raccontare che il maestro rinascimentale. Non fosse altro per lo sconfinato numero di opere che il pittore catalano ha prodotto e che continuano a venire fuori da eredi e collezioni come il petrolio nel Golfo del Messico. Richardson sta per inaugurare alla Galleria Gagosian di Londra «Picasso’s Meditteranean Years (1945-1961)». Cento opere fra dipinti, ceramiche e sculture molte delle quali mai mostrate al pubblico e provenienti dagli eredi, primo fra tutti il nipote di Picasso, Bernard Ruiz-Picasso, figlio di Paulo nato dal primo matrimonio del pittore spagnolo con Olga Koklova, ballerina russa. Richardson ha già pubblicato tre volumi della vita di Picasso con Random House e sta lavorando al quarto che partirà dal 1932 e si concluderà nel 1973, anno della morte del pittore.
John Richardson è a Roma con Valentina Castellani, direttrice di Gagosian, che con lui ha già organizzato a New York lo scorso anno «Picasso: Mosqueteros», una mostra eccezionale sull’ultimo periodo dell’artista. L’esposizione ha avuto più di 100 mila spettatori, un record per una galleria privata. Nonostante i suoi 86 anni Richardson, che conobbe Picasso insieme al collezionista e compagno Douglas Cooper sulla Costa Azzurra nel 1949, sembra aver mantenuto intatta la curiosità di quel giovane venticinquenne davanti al mostro sacro dell’arte moderna. Quando lo incontrò Picasso aveva già 68 anni.
Il nuovo interesse per Picasso è testimoniato anche da «Picasso: Peace and Freedom», l’esposizione aperta alla Tate Liverpool che vuole dimostrare il lato politico e impegnato dell’artista, esattamente l’opposto di quello rivelato dalla mostra solare curata da Richardson. Il grigio di Guernica e il colore di Antibes. « divertente - esordisce Richardson - vedere come tutti vogliano leggere nel lavoro di Picasso qualcosa che gli fa comodo. Picasso arriva sulla Costa Azzurra subito dopo la guerra, un periodo che lo aveva certamente depresso, ma dire che Picasso fosse un artista politico, come la mostra di Liverpool vuole dimostrare, è abbastanza grottesco. Picasso avrebbe trovato la lettura di Marx una noia assoluta. Ancora più ridicola è la tesi che tenta di presentare Picasso come un sostenitore del ”femminismo”. Se c’era uno che considerava le donne, se non oggetti, appendici del suo smisurato ego era lui. Ma il suo cannibalismo non si fermava alle donne: tutti quelli che gli stavano accanto erano cibo per il suo appetito creativo e intellettuale, compreso il sottoscritto».
Però Picasso era iscritto al partito comunista. «Certo, e frequentava molti comunisti. Ma anche questa sua appartenenza va ridimensionata. Gli piaceva molto anche prendere in giro i comunisti. Lo faceva con gusto anche con il suo amico Renato Guttuso che sotto sotto condivideva con lui la stessa ironia verso l’ideologia marxista. Picasso diventò comunista quasi per caso, o meglio per reazione. Era un grande ammiratore di De Gaulle perché aveva liberato Parigi. Partecipò a una riunione dei gollisti che lo volevano nelle loro file, ma quando tornò disse ”Una manica di coglioni” e s’iscrisse al partito comunista».
Richardson pur venerando il pittore spagnolo non ha timidezze nello svelare le sue contraddizioni o debolezze, anzi sembra quasi divertirsi all’idea di poter portare alla luce un lato di Picasso che pochi sembrano conoscere e che lui ha appena scoperto frugando negli archivi spagnoli. «Abbiamo trovato un carteggio che rivela un Picasso disposto a venire a patti con Franco pur di avere una grande retrospettiva a Madrid. Infatti nel 1956 il suo amico il torero Luis Miguel Dominguin, marito di Lucia Bosè, organizzò un contatto fra l’artista e il critico José Maria Galvan. Tutto andò a monte perché iniziarono a uscire sulla stampa delle voci di questo suo possibile ritorno in Spagna. Tanto che nei circoli culturali franchisti si diceva ”Peccato che García Lorca sia già morto! Con una mostra di Picasso avremmo potuto distruggere due miti contemporaneamente”». Richardson è sicuro che se Picasso avesse ceduto alla tentazione di fare la grande mostra a Madrid la sua reputazione sarebbe crollata. Picasso secondo il suo biografo era una contraddizione vivente, era tutto e il contrario di tutto. Un ateo convinto e un credente devoto del Papa.
Anche il rapporto con Braque era per Picasso difficile: «Picasso adorava Braque, ma l’amore non era reciproco. Parlando di Braque Picasso si riferiva a lui come a ”la mia ex moglie”, facendo infuriare la moglie del vecchio amico e inventore del cubismo insieme con lui». Richardson racconta un Picasso divinamente umano, con la sua paranoia per l’autorità e l’ossessione che la Cia lo tenesse sotto controllo. Oppure la paura della morte: «Nessuno era autorizzato in sua presenza a parlare della morte». In arte invece odiava l’astrazione, qualsiasi fosse. Pollock o Mondrian non faceva differenza. Aveva grande rispetto per Mirò ma non tanto per Dalí. «Riferendosi a lui diceva ”dipinge il puzzo di merda meglio di qualsiasi altro”. Ma il suo vero contemporaneo era Velázquez. Non aveva paura di confrontarsi con la pittura di nessuno. Da Courbet a Delacroix. Soltanto per un artista nutriva un rispetto assoluto: Cézanne. Con lui non ha mai avuto il coraggio di competere o di prenderlo in giro». Si penserebbe che il quadro favorito di Picasso fosse Les demoiselles d’Avignon del 1907 ora al Moma di New York, ma Richardson anche in questo caso ci offre un punto di vista inedito: «Picasso non aveva quadri favoriti e se ne aveva uno quello non era certo Les demoiselles d’Avignon. Anzi nel suo studio si divertiva a tenere una copia orribile del quadro fatta come arazzo. A chi gli chiedeva perché non la buttasse via lui rispondeva ”Perché è molto meglio dell’originale”. Forse uno dei suoi lavori favoriti era invece La Danse del 1925 ora nella collezione della Tate». Anche il sesso, oltre alla pittura, era un argomento inesauribile di conversazione: «Ad esempio quando si parlava del capolavoro di Manet Le déjeuner sur l’herbe Picasso non aveva dubbi: si trattava di violenza carnale. Secondo lui non poteva esserci altra spiegazione per un gruppo di uomini in un bosco vestiti con delle donne completamente nude».
Picasso è forse l’artista più famoso della storia dell’arte, ma per Richardson comunque rimane un pittore profondamente spagnolo che ha vissuto tutta la vita con una tremenda nostalgia della Spagna. Visto che siamo a Roma, siamo curiosi di sapere cosa ne pensasse dell’arte italiana. «Non considerava l’amico Guttuso un grande artista e preferiva il Rinascimento tedesco a quello italiano. Ma amava Leonardo. Odiava invece Tintoretto, che considerava il Cecil B. DeMille della storia dell’arte, e fra i due sicuramente preferiva i film del regista americano».