
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri Renzi è intervenuto sul cosiddetto «referendum delle trivelle», per il quale siamo chiamati a votare domenica prossima. Il premier ha detto: «Ripeto fino alla noia, scusandomi con chi ha già sentito queste considerazioni, sulla bufala trivelle. Non c’è nessun referendum sulle trivelle. Non c’è una sola trivella in discussione: solo la scelta se continuare a estrarre carbone e gas fino all’esaurimento del giacimento senza sprecare ciò che già stiamo utilizzando oppure fermarsi a metà alla scadenza della concessione. Il referendum voluto dai consigli regionali, non dai cittadini, non vieta nuovi impianti: rende solo impossibile continuare a sfruttare quelli che già ci sono, alla scadenza. La bufala è questa: dicono che si voti sulle rinnovabili, su un nuovo modello di sviluppo, sull’alternativa alle energie fossili. In realtà si chiudono impianti che funzionano, facendo perdere undicimila posti di lavoro e aumentando l’importazione di gas dai paesi arabi o dalla Russia. Sia chiaro: ogni scelta è legittima. Chi vuole che il referendum passi deve votare sì, chi vuole che il referendum non passi può scegliere tra votare no o non andare a votare. A questo proposito, l’intervista di Napolitano, sul punto, è magistrale». Napolitano, intervistato da Repubblica, aveva detto che l’esistenza di un quorum (i referendum non sono validi se non vota il 50% degli elettori più uno) rende del tutto normale la propaganda per l’astensione.
• Come stanno le cose?
Renzi ha ragione. Lei sa che in Italia il referendum è solo abrogativo. Domenica (e solo domenica) siamo chiamati a dire sì o no all’abrogazione di un punto della legge n. 152 del 3 aprile 2006. Il quesito che troveremo sulla scheda dice questo (chiedo scusa per la lingua del testo): «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita’ 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?».
• Se pure ho capito qualcosa, ho capito però molto poco.
Nuove trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa sono già proibite dalla legge. Il referendum non riguarda questo punto. Le trivellazioni oltre le 12 miglia dalla costa sono ammesse e neanche queste sono messe in discussione dal referendum. Il referendum riguarda le concessioni entro le 12 miglia dalla costa che già esistono. Alla scadenza, queste concessioni possono essere rinnovate e a un certo punto, in via definitiva, possono essere rinnovate fino ad esaurimento del giacimento. Per esempio, l’Eni ha in concessione il giacimento di Porto Garibaldi Agostino, al largo di Cervia in Romagna. La concessione risale al 1970. È andata avanti fino al 2000, poi è stata rinnovata per dieci anni e nel 2010 per altri cinque. Vincendo il sì al referendum («abroghiamo»), la si potrà prolungare per altri cinque anni e poi basta. Anche se sotto ci fosse ancora gas. Vincendo invece il no (lasciamo tutto così com’è) si potrebbe concedere all’Eni di continuare a sfruttare il giacimento finché non sia esaurito.
• Quante piattaforme tipo Porto Garibaldi Agostino ci sono in Italia?
In Italia le concessioni per estrarre dal mare gas o petrolio sono in tutto 66. Di queste, 21 si trovano entro le 12 miglia: una in Veneto, due in Emilia-Romagna, una nelle Marche, tre in Puglia, cinque in Calabria, due in Basilicata, sette in Sicilia. Le concessioni hanno all’inizio una durata di trent’anni. La vittoria dei sì porterà alla chiusura di tre impianti nei prossimi cinque anni. Tutti gli altri chiuderanno nei prossimi quindici anni. Le piattaforme all’opera sono 130. • È vero che sono a rischio undicimila posti di lavoro come dice Renzi?
Forse sono di più. Nella sola concessione che abbiamo citato prima lavorano settemila persone.
• Quali sono le ragioni degli ambientalisti?
Gli ambientalisti sostengono che il voto ha un valore soprattutto politico, perché sanno anche loro che la vittoria del sì o del no cambia poco la situazione. Come si legge sul sito del coordinamento No-Triv: «Il voto del 17 Aprile è un voto immediatamente politico, in quanto, al di là della specificità del quesito, residuo di trabocchetti e scossoni, esso è l’unico strumento di cui i movimenti che lottano da anni per i beni comuni e per l’affermazione di maggiori diritti possono al momento disporre per dire la propria sulla Strategia Energetica nazionale che da Monti a Renzi resta l’emblema dell’offesa ai territori, alle loro prerogative, alla stessa Costituzione italiana».
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