la Repubblica, 15 aprile 2016
La prima mappa delle nuvole
Se la vostra idea di scienziato è quella di una persona con la testa tra le nuvole, Adam Wilson è l’uomo che fa per voi. Wilson è uno studioso di ecologia al Dipartimento di Geografia della University at Buffalo, nello stato di New York, e il suo mestiere è per l’appunto fotografare le nuvole. Wilson ha esaminato ben quindici anni di fotografie satellitari di nuvole scattate quotidianamente, due volte al giorno, coprendo quasi ogni angolo del pianeta: un vero e proprio “atlante delle nuvole”. Nuvole che si alzano sfuggenti sopra le foreste tropicali del Costa Rica, nuvole che aleggiano discrete sui Caraibi, che vanno a formare spettacolari e inaspettati panorami sulle montagne europee.
Ma perché è così importante fotografare le nuvole, e monitorare così in dettaglio le loro forme mutevoli in tutto il globo? «La nuvolosità influisce, sia direttamente che indirettamente, sui processi ecologici, dalla fotosintesi al comportamento animale», spiega Wilson. «Avere una mappa quasi globale e così accurata della nuvolosità ci permetterà di esplorare più in dettaglio le connessioni tra nuvole e altri modelli ecologici. Nel nostro studio abbiamo usato l’osservazione delle nuvole per prevedere la distribuzione geografica di alcune specie ed ecosistemi». Insomma, si guarda alle nuvole in cielo per capire che cosa succede sulla Terra. Nell’articolo recentemente pubblicato sulla rivista Plos Biology, Wilson ha dimostrato che osservando le nuvole si può desumere la distribuzione di specie come il Rampicatore montano, un uccello caratteristico delle foreste subtropicali del Sudamerica nord-occidentale o come la Protea Re, una spettacolare pianta floreale del Sudafrica. Qual è la novità rispetto al passato, e cosa rende l’approccio di Wilson così significativo? «L’ampiezza temporale e il dettaglio spaziale dei dati considerati. Abbiamo generato sintesi di 15 anni di immagini fotografiche satellitari con una risoluzione di un chilometro in quasi tutto il globo».
E anche se darci consigli di viaggio non è esattamente lo scopo di Wilson, potrà interessarvi sapere che dal suo atlante le zone più nuvolose del mondo risultano la zona equatoriale del Sud America, il bacino del fiume Congo in Africa e il Sud-est asiatico. Anche se la sua ricerca dimostra, tra l’altro, come la nuvolosità possa variare significativamente anche a breve distanza nella stessa area geografica.
Wilson si inserisce in una ricca e affascinante tradizione di “osservatori di nuvole” che ha storicamente la sua figura di spicco in Luke Howard, il dilettante che dette alle forme nuvolose la classificazione che ancora oggi utilizziamo. Farmacista con la passione della meteorologia, Howard nel 1802 riuscì là dove grandi scienziati avevano fallito. L’intuizione fondamentale di Howard fu quella di ridurre le numerose forme individuali delle nuvole a un numero limitato di forme di base: Cirrus, Cumulus e Stratus,
e una serie di modificazioni composte e intermedie.
Secondo alcuni storici, la sua profonda religiosità di quacchero portò Howard a intendere la tassonomia come una sorta di «rispettosa classificazione del Creato»; una tassonomia che si rivelò subito di grande utilità pratica nella comprensione dei fenomeni, senza però renderli troppo aridi. Contemplando la mutevolezza delle nuvole, il suo sistema permise alla natura aerea di mantenere tutto il suo antico fascino, preservando «la bellezza del cielo, così come gli aspetti dinamici del suo mistero», non scalfiti da «un deciso progresso verso la chiarezza e la verità scientifica». Di qui lo straordinario successo che il lavoro di Howard ebbe all’inizio dell’Ottocento, oltre che tra gli scienziati, anche tra poeti come Shelley, con la poesia La nuvola (1820), e pittori come Constable, che lo riconobbero subito come fonte d’ispirazione. Il poeta tedesco Johann Wolfgang von Goethe ne fu così impressionato da dedicare alle nuvole e allo stesso Howard una serie di scritti, tra cui le osservazioni La forma delle nuvole secondo Howard, pubblicate nel 1820, e i versi All’alta memoria di Howard, dell’anno successivo.
Da Howard a Wilson, il modo di studiare le nuvole è cambiato completamente nell’impostazione, o la tecnologia è solo divenuta più sofisticata? «Un po’ entrambe le cose», secondo Wilson. «Migliorare la tecnologia per l’osservazione ci ha permesso di creare modelli più sofisticati di fisica delle nuvole. Ma ci sono ancora moltissimi aspetti che non comprendiamo». E quanto conta oggi, per uno scienziato delle nuvole del XXI secolo, quella dimensione estetica che tanto affascinò Howard e i suoi contemporanei? «Non è l’estetica a guidare la mia ricerca», spiega lo studioso, «ma devo dire che la prima volta che ho aperto la versione finale dell’atlante sono rimasto impressionato dalla bellezza delle forme delle nuvole in molte parti del mondo».