Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  aprile 15 Venerdì calendario

Willy Varlin, il visionario che dipingeva il mondo dei reietti, prima di Testori

Quando Giovanni Testori si innamorava di un pittore non stava certo a soppesarlo col bilancino. Alzava la testa, spalancava gli occhi e dalla sua bocca usciva un effluvio di aggettivi – uno maggiore dell’altro – perché lo scrittore lombardo parlava con le viscere e il cuore. Alla fine, però, chi gli era vicino si accorgeva che l’entusiasmo era sempre ben riposto. Testori aveva la febbre del cercatore d’oro che in quel momento aveva scoperto un filone di pepite.
Così è stato per lo svizzero Willy Varlin (1900-1977) verso gli anni Settanta. Varlin è lo pseudonimo di Willy Leopold Guggenheim (alta borghesia ebraica). Nato a Zurigo, a 23 anni va a Parigi dove frequenta l’Académie Julian. Quando, nel ’30, conosce Leopold Zborowski, poeta, scrittore e mercante di Modigliani, Soutine, Chagall e Utrillo, il polacco gli consiglia di abbandonare il cognome Guggenheim perché richiamava i magnati americani d’arte. Uno pseudonimo, allora? Certo; ma non uno qualunque. E così Zborowski consiglia quello di Varlin, socialista rivoluzionario, uno dei protagonisti della Comune di Parigi, che il 18 marzo 1871 partecipa all’insurrezione della Ville Lumiére (assieme a Courbet abbatte la colonna Vendôme; Courbet viene condannato a pagarne la ricostruzione, muore però prima di saldare la prima rata) e che circa due mesi dopo, finita la ventata comunarda, viene fucilato.
Che cos’hanno in comune i due? Zborowski ha una foto di Varlin e trova che si assomiglino. Willy dipinge il mondo dei reietti. E continua a farlo anche quando, con l’avvento di Hitler, nel ’35 rientra in Svizzera. Mette studio in diverse località. Quando si trasferisce al castello di Feldbach, il fattore gli dice: «Nella stanza dove lei dipinge s’è sparato il banchiere Reichin; nel salotto s’è impiccata la ballerina Lucrezia e chissà che fine ha fatto il principe Starenberg: dicono che sia annegato nel lago».
Finita la II Guerra mondiale, Varlin fa una vita grama. Solo quando comincia a ritrarre intellettuali e borghesi, si risolleva economicamente: «Adesso sei completamente imborghesito, più in basso di così non puoi cadere» gli dice la sorella Erna.
Ma torniamo a Testori. È lo scultore Mario Negri a fargli conoscere l’artista svizzero che ha già esposto a Lucerna, Berna, San Gallo, Venezia (dove nel ’60 ha partecipato alla Biennale e vinto il premio Guggenheim), Zurigo. Sino ad allora i critici hanno messo l’accento sulla bohème, sull’ironia di Varlin («Non faccio caricature dei miei modelli, li osservo con la massima precisione. Non prendo in giro nessuno. Effettivamente l’umanità si compone in gran parte di squali e cannibali; tuttavia più che deriderla, mi fa piuttosto pena»); Testori, invece, lo «sdogana» cogliendone la tragicità (e come poteva essere diversamente?), il disfacimento, resi con un espressionismo sui generis che deformava corpi umani e animali, paesaggi ed interni, prospettive e d’après (Goya). L’autore de L’Ambleto decide anche di curare, nel ’76, una rassegna alla Rotonda della Besana di Milano. Varlin muore l’anno dopo. Nell’84, sempre a Milano, mostre alla Compagnia del Disegno e, nel ’94, a Palazzo Reale.
Ma qual è stato il percorso artistico del Varlin «maturo» prima dell’incontro con Testori? Lo spiega questa rassegna di 39 opere (1940-1973), curata da Sandro Parmiggiani a Gualtieri, Reggio Emilia (Palazzo Bentivoglio, sinao al 10 luglio, catalogo Skira). Una vera e propria «ricognizione» nell’opera di un grande visionario. Non per nulla Testori aveva progettato la mostra Giacometti, Bacon e Varlin. La morte glielo ha impedito.