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 2016  aprile 15 Venerdì calendario

Possiamo fare a meno del ministero dello Sviluppo economico?

Il ministero dello sviluppo sta diventando un ente inutile, e forse lo è già. Federica Guidi si è dimessa il 31 marzo. Matteo Renzi ne ha preso l’interim il 5 aprile, ma la nomina del nuovo ministro non è all’ordine del giorno. Una studiata lentezza, dietro la quale si intravedono due scuole di pensiero. C’è chi dice che il ministero dello sviluppo è un’eredità dello statalismo, una contraddizione in termini rispetto al libero mercato, e pertanto va chiuso e abolito. Altri invece sostengono che la politica industriale è tuttora un compito del governo, e non può essere demandata alla Cassa depositi e prestiti (Cdp), come in realtà si starebbe facendo.
Tra i sostenitori dell’inutilità del ministero, spiccano Alberto Mingardi (Istituto Bruno Leoni) e Francesco Giavazzi (Bocconi). Negli ultimi anni, hanno scritto, questo dicastero si è occupato più di crisi aziendali che di sviluppo; l’idea che un governo possa indirizzare l’attività dei privati e creare ricchezza è roba da anni Trenta; oggi, al massimo, lo stato può togliere ricchezza ad alcuni per darne ad altri. Per gestire le crisi aziendali basterebbe un sottosegretario a palazzo Chigi. E, abolendo il ministero dello sviluppo, Renzi potrebbe ottenere un risparmio di 10 miliardi, cancellando i sussidi alle imprese, incardinati in questo dicastero.
Per conservare il ministero si è invece schierato, a sorpresa, un banchiere: Filippo Szego, del gruppo Edmond de Rothschild (vedi linkiesta.it). Pur giudicando condivisibili le critiche di Mingardi e Giavazzi, Szego sostiene che indicare le priorità industriali di un paese, scegliendo i settori su cui puntare, è compito politico fondamentale di un governo, anche nell’economia di mercato. Purtroppo, è proprio questa politica che manca all’Italia. E il governo Renzi, invece di concentrarsi su reti e infrastrutture strategiche, ha demandato la politica industriale alla Cdp, che opera come «braccio armato» del premier, con investimenti di dubbia strategicità, come dimostrano il caso Saipem e le partecipazioni del Fondo strategico italiano. Soldi pubblici, conclude Szego, spesi più «per ragioni di tornaconto politico, che non per un interesse strategico». Dalla durata dell’interim, e dai suoi contenuti, avremo la risposta di Renzi alle due tesi.