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 2016  aprile 15 Venerdì calendario

Emma Dante, storia una regista d’Opera che non fa nulla per compiacere gli altri o la sua Palermo, dove vive come in trincea

Emma Dante non fa nulla per compiacere gli altri, o la sua città, Palermo, dove vive come in trincea. Dice che il mondo dell’Opera «non è pronto ai cambiamenti, è lo specchio dell’Italia, un Paese conservatore in tutto che ha paura del nuovo, e i direttori d’orchestra temono i registi, ma senza di loro la lirica muore»; dice di «non far parte di nessuna famiglia e fatico a trovare una produzione per il mio secondo film, eppure il mio esordio, Via Castellana Bandiera, andò alla Mostra di Venezia e vinse due premi».
È un’artista autentica che gira tutti i campi ma di fondo appartiene al teatro. Un teatro sociale, fisico, estremo, spalancato sull’ignoto. Era la neofita conosciuta solo dall’avanguardia. Poi nel 2009 ebbe il suo battesimo di fuoco alla Scala: la Carmen del 7 dicembre 2009 dai contorni cupi e lividi che scandalizzò una parte del loggione. «Tornando la sera a casa a Milano ho ricevuto minacce su Internet, vai via, non ti presentare mai più... Non amo così tanto lavorare nella lirica, mi inquieta, mi stanca, non ci dormo la notte, devi fare il motivatore e il risultato non dipende da te, poi a volte trovi sovrintendenti straordinari. La regia è sempre stata considerata un disturbo dai melomani, dev’essere una cosa che si insinua lentamente e subdolamente nell’ascolto e nella visione degli spettatori».
Cenerentola nera
All’estero stravedono per lei, la sua Cenerentola di Rossini all’Opera di Roma, una sorta di favola nera senza perdono e lieto fine in cui la protagonista viene malmenata, circondata dalle sue amiche che sono delle bambole meccaniche, è stata trasmessa dal Giappone all’Australia, e in sei Paesi europei. Nei suoi spettacoli si sprigiona quello che potremmo definire il bisogno dei corpi...«Sì, il bisogno di sconnetterli, di scardinarli con delle posture scorrette, sgrammaticate, sono gli spostamenti sgraziati della vita. Il teatro è la libertà, è il luogo dove puoi fare a meno di non dare la mano al tuo nemico». Emma, questa sua inquietudine... «C’è, ci convivo e nasce dalla mia vita, che è stata segnata da gravi lutti, mia madre morì che non ero riuscita ancora a essere niente, mio fratello se ne andò a 24 anni per un incidente d’auto. Non significa che gli artisti per essere bravi devono soffrire, ma nei miei spettacoli si legge una sofferenza che viene dalla mia vita».
Il teatro l’ha scoperto quando andò con la scuola a vedere la tragedia greca (Antigone) a Siracusa. «C’è quel luogo antico all’aperto in cui la gente si riunisce e guarda la stessa cosa, mentre la luce naturale si spegne e comincia quella artificiale. Prima di allora non ero mai andata a teatro. Mi toccò molto, dissi a mia madre che volevo diventare attrice, la regia non sapevo nemmeno cosa fosse. Lei mi disse che se volevo provare seriamente dovevo andare via dalla Sicilia e mi mise su un treno per Roma, anche se mio padre, che era direttore di una filiale di carta da parati, voleva che lo affiancassi. Riuscii a vincere il concorso per l’Accademia d’arte drammatica Silvio d’Amico. Andai a vivere da una zia mai vista prima, i parenti al Sud si aiutano anche se non si conoscono. Era il 1988 e Roma mi sembrò New York. Oggi è nevrastenica, all’epoca era una città accogliente, tollerante. Dopo l’Accademia entrai a Torino nel Gruppo della Rocca di Roberto Guicciardini, lì ho conosciuto Gabriele Vacis, con lui portai uno spettacolo nella fortezza di Dubrovnik, la guerra era finita ma la gente non ci credeva, non usciva di casa, aveva paura di morire, sembrava un film di Kusturica. Grazie a Vacis ho capito che non mi fregava nulla di recitare...Come lui manipolava i corpi, le voci, come un gesto diventava drammaturgia. Volevo fare la regista! Ho cominciato a affermarmi a più di 30 anni, ora ne ho 48. Prima d’allora facevo l’attrice senza essere neanche notata».
Il dolore in scena
Ha messo in campo il suo lutto...«Ho capito che dovevo usare il mio dolore per fare qualcosa di più incisivo per me. Tornai a Palermo per seguire mamma che era malata di cancro. Era come se avessi incontrato la mia città per la prima volta. Ogni parola ogni suono, tutto arrivava amplificato. Palermo ha cominciato a scrivere per me. Lo spettacolo che mi ha fatto conoscere, segnando un certo tipo di ricerca, è ‘Mpalermu, significa dentro Palermo. Uno spettacolo sull’assenza un po’ buñueliano, raccontavo l’impossibilità di uscire di casa».
A Palermo è nata, se n’è andata, vi è tornata: «È una città di passaggio. La prima casa di famiglia era dietro quella del giudice Falcone, che è diventata un luogo di pellegrinaggio dove la gente mette bigliettini. Quando mamma morì, il rischio era di nascondersi negli affetti familiari, invece bisogna affrontarla quella cosa lì. Non avevo niente. Non avevo un fidanzato, non avevo soldi, non avevo una casa». Ne cercò una piccola e la trovò in una strada dritta e stretta: via Castellana Bandiera, dove poi tanti anni dopo avrebbe ambientato il suo film. «Palermo è una città senza speranza. L’incuria, la mancanza di senso civico, la prevaricazione. La vedo anche dalle piccole cose, dai dettagli, l’auto che non puoi parcheggiare fuori perché ti spaccano i vetri, i cani lupo dei vicini che fuori abbaiano tutta la notte e se ne infischiano se possono dare fastidio. Ogni giorno, ogni momento vorrei andare via, ma non è che le altre città siano meglio. Forse Milano è più civile. Poi certo c’è il Teatro Massimo e guai a chi me lo tocca, e al Teatro Biondo mando avanti la Scuola dei mestieri dello spettacolo, al Festival di Spoleto con i ventitré allievi porterò in scena l’Odissea, una riscrittura in due movimenti, l’andata e il ritorno di Ulisse a casa».
Essere siciliana
Esiste una sua sicilitudine? «Non mi sento di appartenere a niente, ma la Sicilia è un luogo di carattere ed è difficile non accorgersene. Tutto faccio tranne che voler essere siciliana a ogni costo». Più che creare spettacoli, fa dei progetti che possono durare un anno, con gli attori della sua compagnia Sud Costa Occidentale e il marito attore e scenografo Carmine Maringola. Cosa sta preparando? «Macbeth di Verdi a Palermo. Debutterà nel gennaio 2017».