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 2016  aprile 15 Venerdì calendario

OSSESSIONATI E VINCENTI: COSÌ SI DIVENTA UN LEADER


Un uomo con un patrimonio 2.8 miliardi di dollari visto da vicino è uguale a tutti gli altri, forse anche più uguale di uno con qualche milione, visto che ad un certo punto le cifre che girano nella Silicon Valley diventano talmente metafisiche che le eventuali ostentazioni non hanno più alcuna speranza di risultare commisurate, tanto vale quindi rinunciarci. Mark Zuckerberg (47.8 miliardi di patrimonio) ad esempio è noto per le sue t-shirt grigie, Michael Moritz (2,8 miliardi) se non altro quando lo incontro indossa un completo che sembra di buona fattura. Moritz è l’ex capo del fondo Sequoia, il più rispettato dei fondi venture della Silicon Valley e primo investitore in aziende che oggi hanno complessivamente un valore di 1,5 trilioni – parola che non so nemmeno se esiste veramente – di dollari. Nel portafoglio del fondo ci sono aziende come Apple, Cisco, Google, Yahoo!, Pay Pal, Linkedln., AirBnb e Dropbox, oltre a marchi cinesi come VIPshop e JD.com che a molti occidentali non dicono niente ma sono colossi di dimensioni simili. Da qualche anno Moritz ha lasciato il controllo delle operazioni per via di una malattia la cui natura rimane riservata e ha dedicato molto tempo a scrivere un libro sulle qualità che servono a un leader assieme Sir Alex Ferguson, l’ex allenatore del Manchester United, squadra di calcio inglese tra le più prestigiose.
Non è l’unico libro di Moritz, che prima di fare l’investitore è stato l’inviato di Time nella Silicon Valley. Erano i primi anni ottanta e la rivista stava preparando un profilo di Steve Jobs come uomo dell’anno. Alla fine però la copertina non fu assegnata a lui bensì, con una scelta che fece storia, al personal computer. Jobs non la prese bene, così come non prese bene alcune delle frasi dei suoi dipendenti riportate dalla rivista, fra cui la memorabile «sarebbe stato un ottimo re di Francia». Jobs vietò ai suoi dipendenti di parlare ancora con Moritz, ma lui riuscì a concludere comunque il suo libro Il piccolo regno che ancora oggi è fra i migliori testi sulla storia della Apple. Poco dopo Moritz cambiava mestiere e entrava a fare parte di Sequoia che, ironia della sorte, possedeva una quota di Apple. «Lavorando ad una storia come giornalista devi fare ricerche su qualcosa di cui all’inizio sai spesso molto poco, devi trovare i fatti, organizzare i pensieri e alla fine scrivere» mi spiega quando gli chiedo di questo cambio nella sua carriera.
«Come investitore funziona allo stesso modo solo che alla fine del processo prendi una decisione finanziaria. Sia il giornalista che l’investitore si devono rapportare con una scarsità d’informazioni». Un venture capitalist in più deve sapere individuare il talento, e non solo: «Una start up di successo è una combinazione di fattori: un fondatore, un mercato e un prodotto» e se dovesse sceglierne soltanto uno? «Li sceglierei tutti e tre». Non è possibile accontentarsi in un settore dove la selezione è spietata. In Ritorno al piccolo regno la recente riedizione del suo libro sulla Apple. Moritz fa un elenco di alcune delle società che nell’84 sembravano molto promettenti e di cui oggi nessuno si ricorda, brand sommamente ignoti come Portec o Osborne computers, per capirsi. «È relativamente facile avere un business di successo per un breve periodo, è molto più difficile continuare ad essere di successo per un periodo di tempo molto lungo» continua Moritz. Che ha cercato risposte oltre che nella sua esperienza personale anche in quella di Sir Alex Ferguson, che nel 1986 prese uno United che non vinceva lo scudetto da 20 anni e per lasciarlo nel 2013 dopo averne conquistati 13, più 2 Champions League. Nel frattempo il valore della franchigia è salito da 20 milioni di sterline a 1.93 miliardi, sempre in monete della regina. Secondo Moritz un allenatore e un venture capitalist che si trovano ad avere a che fare con le stelle del calcio mondiale e con le migliori giovani menti del digitale, vivono in una sorta di limbo di giovinezza eterna «godiamo del fantastico lusso di poter rimanere sempre sul lato giovane dell’esistenza». Moritz infatti non ha dubbi, per evitare la senescenza e il declino, un’azienda deve continuamente essere in grado di cooptare e utilizzare forze giovani. «La cosa più difficile per un leader è fare in modo che la sua organizzazione sia solida, perennemente impegnata verso la perfezione, non arrogante o che pensi che siccome ha successo oggi dovrà averlo anche in futuro. Deve assicurarsi di avere sempre molta gente giovane, deve capire dove stanno andando le cose senza necessariamente seguirle. Questo tipo di cose contano nel Manchester o nella Juventus, così come a Google o Facebook».
Il ruolo della leadership di cui tanto ha discusso con Ferguson passa in larga parte dalla capacità di fornire i migliori strumenti a chi per questioni anagrafiche è al massimo della propria potenza, fisica ed intellettuale. Come se la cava in questo il Vecchio Continente? «Va molto meglio di una volta, i giovani sono molto più preparati e predisposti a lavorare per compagnie giovani piuttosto che per aziende già affermate ed esiste un numero importante di compagnie Tech europee di grandi dimensioni. L’innovazione è un investimento a lungo termine che incomincia con l’educazione, nelle università o in altri istituti tecnologici che sono il luogo dove si sviluppano molte delle più interessanti aziende digitali. Quello che è molto semplice dimenticare è che ci sono voluti cento anni alla Silicon Valley per diventare quello che è oggi, non è qualcosa che accade da un giorno all’altro».
I poli più importanti in Europa per l’economia digitale oggi sono Londra, la Scandinavia, Israele, con Berlino, Parigi e la Spagna a rincorrere a ruota. L’Italia ha un suo tessuto diffuso di ottime start up ma mancano ancora gli investitori in grado di farle scalare al livello successivo. E questo, ad ascoltare Moritz, può essere un grosso problema. «L’innovazione è sempre stata il biglietto per il futuro, in Italia durante il rinascimento, in tutta l’Europa occidentale durante l’ottocento e il novecento, negli Stati Uniti oggi. Innovazione, immaginazione, creatività e le grandi invenzioni sono sempre stati la chiave per un avvenire prospero». Non è un caso che il secondo mercato mondiale dell’innovazione ormai sia la Cina. «La Cina è in una forma spettacolare, molte persone negli Stati Uniti e in Europa sottovalutano la forza, la vivacità e l’energia dell’industria tecnologica cinese. È già una potenza e può diventare solo più forte». In Cina Sequoia è presente anche in Meituan-Dianping, una società che ha recentemente ricevuto un round di finanziamento da 3.3 miliardi, il più grande nella storia delle industrie digitali.
«L’atmosfera imprenditoriale in Cina è a livello del meglio che si può trovare da noi, la competizione è feroce ed estrema». Competizione, investitori, giovani, fondatori e leader, manca ancora un elemento alla ricetta di Moritz, che ha già predisposto il lascito di metà del suo patrimonio ad enti di beneficenza: «Un’ossessione. Le persone che fanno cose interessanti sono tutte mosse da un’ossessione».
Non suona proprio come la ricetta per una vita equilibrata, obietto. «Il mio non è un giudizio di valore, è una constatazione. Artisti, musicisti, scienziati e imprenditori di successo tendono tutti a vivere vite assai prive di equilibrio. Sono mossi da un’unica grande passione, è questo che li fa riuscire». L’ossessione come motore del mondo insomma, e detto con un sorriso appena accennato sulle labbra. Poi come è venuto, l’uomo da 2,8 miliardi di euro, se ne va, accompagnato solo dalla sua addetta stampa.
Daniele Rielli