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 2016  aprile 15 Venerdì calendario

Rosy Bindi, la scatenata

I professionisti dell’antimafia tornano alla carica con le liste dei cosiddetti impresentabili. Già un anno addietro si dilettarono nell’indicare alla pubblica gogna candidati di varie formazioni politiche, privi dei requisiti individuati in un teorico codice etico che gli stessi partiti si erano dati.
La vicenda conobbe un’eco incredibile per la presenza, fra i reietti, del vulcanico candidato alla presidenza della Campania (poi eletto, alla faccia dei moralisti, e successivamente pure assolto) Vincenzo De Luca. Il Pd ebbe non poco a dolersi per lo scorno patito a causa della commissione antimafia e segnatamente della sua presidente, la democratica Rosy Bindi.
Adesso la commissione torna all’assalto, dichiaratamente interessandosi a un numero limitato di comuni alle urne. Non sono soltanto altrettanti Savonarola invasati di cieco rigorismo: sono politici scaltriti, miranti a delegittimare singoli candidati che già si sa compariranno nelle loro liste nere. Al presente, è palese la volontà di additare all’esecrazione popolare Guido Bertolaso, candidato berlusconiano al Campidoglio. Può anche darsi che il diretto interessato tolga l’incomodo per conto proprio, e allora l’iniziativa sarà servita a poco. Tuttavia resta la gravità d’indicare agli elettori singoli candidati che non si trovano in condizioni d’incandidabilità.
Basta infatti un procedimento giudiziario in corso per essere bollati come impresentabili. Bertolaso, poveretto, continua a ripetere sia che uscirà indenne dal processo sia che rinuncerà alla prescrizione: gli servirà poco, quando comparirà la lista dei reietti. Fi improvvidamente si era adattata all’adozione del codice etico affidando, in buona sostanza, la composizione delle liste all’attività delle procure e dei collegi giudicanti. Adesso blatera garantismo, che serve ben poco di fronte al giustizialismo imperante.
C’è, poi, chi vuol essere purissimo fra i più puri. Il Messaggero ha ironicamente (almeno, si spera) annotato «la lunga marcia verso la purificazione delle liste partita con il pellegrinaggio da Raffaele Cantone, presidente dell’Anticorruzione, visitato e consultato da molti candidati».
Addirittura Giorgia Meloni ha strepitosamente annunciato di adeguarsi a un codice superetico: «Nessun indagato con noi».
Quindi, un disgraziato, finito nelle spire di un processo dal quale uscirà assolto, deve troncare le proprie possibilità di affermazione politica o amministrativa per il fatto di «essere indagato».
Possibile che a destra non si rendano conto che il rincorrere i grillini e il Fatto Quotidiano in simili forcaiole prosternazioni alle procure è prima di tutto autolesionistico?