Corriere della Sera, 15 aprile 2016
Tra le vigne della Tognazza amata, lì dove Ugo si dilettava ai fornelli
Quando era a casa dal lavoro, ma anche sul set, appena poteva, Ugo Tognazzi passava gran parte del suo tempo ai fornelli: celebri erano le cene pantagrueliche che organizzava per gli amici suoi almeno cinque volte alla settimana a Velletri. Si beveva il vino di casa, quello che ai tornei di tennis andava via come acqua. Una sera preparava la faraona al melograno, un’altra gli gnocchi al gorgonzola. Piatti nordici, perché da Cremona proveniva. Anche se poi tutto – la passione vera per il cibo, la cucina e per quelli che oggi tutti chiamano prodotti biologici e a chilometro zero – nacque nel Lazio. Alla Tognazza Amata, la tenuta dove Ugo si trasferì con la famiglia negli anni Sessanta. «Sono un cuoco prestato al cinema», ripeteva spesso Tognazzi. E proprio a quell’immagine privata di Ugo è dedicata la mostra fotografica che si terrà da domani, in occasione di Enolia (manifestazione dedicata all’olio d’oliva), al 25 aprile a Seravezza (Lucca): venticinque scatti del re della commedia italiana, corredati da sue ricette, rubati per lo più dai familiari alla Tognazza. «Ai fornelli Ugo era molto curioso, cambiava in continuazione, oggi direbbe che tutto quello che ha scritto nei suoi ricettari è da buttare – racconta oggi il figlio Gianmarco, attore e viticoltore, che domani riceverà a Seravezza il premio Enolia —. Io non sono maniaco com’era lui della cucina. Mio padre ha lasciato a ciascuno di noi figli un tratto del suo carattere, un’estensione di sé. A Maria Sole, per esempio, la curiosità per i ristoranti. Ricky ama dilettarsi ai fornelli, a me è rimasta la passione della terra».
Ecco perché Gianmarco, nato alla Tognazza, scappato a Roma a diciotto anni e rientrato al nido a trentasei con moglie e figli dopo una «scorpacciata di metropoli», da qualche tempo ha preso in mano le redini dell’azienda agricola. Qui si producono vini, un bianco, il Tapioco, e due rossi, Come se fosse e Antani, nomi omaggio ad Amici miei, e poi confetture e creme senza conservanti. «All’inizio l’azienda era un ricordo di mio padre, è nata a scopo, come dico io, ugoistico. Poi, dopo tre o quattro anni di gioco, è diventata una cosa seria. Certo, avrei dovuto laurearmi in agronomia come voleva lui. All’epoca non volli dargli retta – continua Gianmarco —. Ora, invece, penso che magari l’avessi fatto, oggi avrei un titolo e sarei sfuggito alla crisi del mondo dello spettacolo. Ma, insomma, è andata così: oggi mi dedico alla Tognazza a tempo quasi pieno. E non voglio che l’azienda resti un altarino a Ugo, deve piuttosto crescere. Sono orgoglioso di aver avuto un padre così anticipatore ma mi fa piacere che ora la Tognazza prosegua il suo percorso in autonomia». Nei prossimi mesi usciranno altri due vini, un bianco e un rosso, di fascia superiore. «Non li chiameremo con altri riferimenti a mio padre, questa è una cosa seria. Altrimenti sembra sempre tutto una supercazzola...».