Corriere della Sera, 15 aprile 2016
Le ragazze rapite due anni fa da Boko Haram sono ricomparse in un video
Alessandra Muglia per il Corriere della Sera
«La mia Saratu!» dice con la voce rotta dal pianto allungando la mano sullo schermo come per volerla tirare fuori. Rifkatu Ayuba ha appena riconosciuto la figlia diciassettenne tra le ragazze velate che compaiono in un video rilasciato da Boko Haram. Esplode l’angoscia di un’attesa interminabile. Era da due anni che la donna non vedeva il suo volto. Solo voci, ipotesi e minacce sul suo destino si sono susseguite dopo quella notte tremenda del 14 aprile 2014 in cui Saratu è stata rapita insieme ad altre 275 compagne dal dormitorio della sua scuola a Chibok, villaggio sperduto nel Nordest della Nigeria ormai noto in tutto il mondo.
Il filmato, della durata di due minuti, è stato consegnato ai negoziatori locali come prova che le studentesse di Chibok sono ancora vive. E che siano proprio loro lo hanno confermato durante una proiezione collettiva anche altre due madri e una loro compagna.
Nel video, trasmesso in parte dalla Cnn, compaiono 15 ragazze schierate su due file, davanti a un muro giallo, il corpo avvolto in una tunica che lascia scoperto soltanto il volto. Alcune guardano in camera, gli occhi persi nella tristezza. Una voce fuori campo chiede di presentarsi, e ciascuna risponde indicando il proprio nome e quello della scuola da cui è stata rapita. Verso la fine una di loro, Naomi Zakaria, lancia un appello: «È il 25 dicembre 2015, parlo a nome di tutte le ragazze di Chibok, stiamo bene» dice scandendo la parola «tutte», per far intendere che le 15 giovani rappresentano l’intero gruppo. Poi prosegue chiedendo alle autorità nigeriane di aiutarle a ricongiungersi con le loro famiglie. Il video sarebbe considerato attendibile dai negoziatori.
Che sia in corso una trattativa tra il governo nigeriano e Boko Haram lo conferma il ministro nigeriano dell’Informazione, Lai Mohammed, senza però fornire altri dettagli, a suo dire per non compromettere l’esito dei colloqui. Ma una fonte ben informata del Telegraph – che già la settimana scorsa aveva dato la notizia del video – ha rivelato che i fondamentalisti avrebbero chiesto un riscatto di 10 miliardi di naire, l’equivalente di oltre 44 milioni di euro, per il rilascio delle 219 studentesse di Chibok ancora nelle loro mani (delle 276 sequestrate, 57 erano riuscite a fuggire subito dopo il rapimento). Il governo di Abuja sarebbe diviso sulla richiesta, avanzata tre mesi fa, dopo che lo scambio di prigionieri proposto inizialmente dal leader degli estremisti Abubakar Shekau si è rivelato impraticabile (i miliziani da liberare non risultavano nelle mani delle autorità nigeriane): alcuni, scrive il quotidiano, considerano il pagamento del riscatto una soluzione; altri soltanto un modo per rafforzare il gruppo e permettergli di reclutare adepti in un momento di crisi sul piano militare.
Questo video pare indicare che Boko Haram ha intenzione di sfruttare al massimo il valore aggiunto acquisito dalle ragazze di Chibok grazie al clamore internazionale che il loro sequestro ha suscitato. Per questo il gruppo jihadista le avrebbe mantenute in vita e sottratte al destino di kamikaze che ha invece riservato a molte altre giovanissime, soprattutto nell’ultimo anno.
Ieri nella sua visita a Chibok per il secondo anniversario del rapimento, il vicepresidente nigeriano Yemi Osinbajo ha trovato una comunità arrabbiata. L’unica scuola del villaggio, quella distrutta da Boko Haram, è ancora in macerie. Ventimila bambini non sanno dove studiare, denuncia il leader del gruppo di familiari delle studentesse rapite, Yakubu Nkeki. «Boko Haram ha raggiunto il suo scopo. Non vuole l’istruzione occidentale e i nostri figli non ce l’hanno».
*****
Viviana Mazza per il Corriere della Sera
L’ ultima volta che avevamo visto le ragazze di Chibok era stato nel maggio 2014, quando il leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, annunciò in un video che si erano convertite all’Islam e minacciò di venderle come schiave o darle in spose ai miliziani. Ma prima del filmato di ieri, ci sono stati altri presunti avvistamenti, in base ai quali si sono fatte ipotesi sul loro destino. Le testimoni sono spesso altre nigeriane fuggite alla prigionia. Giorni fa, una donna addestrata come kamikaze raccontava al New York Times che le aveva viste in una fattoria e che erano trattate diversamente dalle altre prigioniere: «Erano grasse, avevano più cibo e acqua di noi. Ma piangevano». Altre testimoni hanno riferito alla Bbc che alcune ragazze di Chibok sarebbero state indottrinate: frustavano le nuove arrivate che sbagliavano a recitare il Corano, tagliavano la gola ai prigionieri. Il timore di una radicalizzazione è tale che circolano storie (false) secondo cui alcune ragazze sarebbero tornate ad avvelenare i familiari. Molte donne fuggite da Sambisa sono incinte: costrette a partorire una nuova generazione di jihadisti. Possibile che sia accaduto anche a loro. Un papà di Chibok ha ricevuto una telefonata dal cellulare della figlia scomparsa. Ha richiamato e gli ha risposto un uomo. «Mi ha detto di smetterla di chiamare sua moglie». Non è chiaro se, tra le numerose kamikaze usate da Boko Haram, ci siano anche ragazze di Chibok. A marzo una dodicenne catturata prima che detonasse l’esplosivo disse di essere una di loro ma era una bugia. Alcuni credono che, data la loro notorietà, siano troppo «preziose» per essere «sacrificate» così. Ma Mia Bloom, autrice con Hilary Matfess di una nuova ricerca, sostiene che non può essere escluso: l’identità delle kamikaze non è nota, il governo ha fatto poco per identificarle.