
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri al Cairo sono scese in piazza centinaia di migliaia di persone, forse addirittura due milioni e mezzo. E in altre città – come Alessandria, Mansura, Demiat, Damenhur, Menia, Al Kubra – lo stesso. Un coro possente e, a quanto pare, irresistibile, che chiede a Mubarak di andarsene. El Baradei gli ha consigliato pubblicamente di sloggiare entro venerdì, se vuol salvare la pelle.
• E Mubarak?
Mubarak, invece, in un discorso pronunciato alla televisione, chiede di restare al potere fino alle elezioni, in programma per settembre, e in cambio ha intenzione di promettere che non si ricandiderà. Il discorso ha l’aria di un disperato, ultimo tentativo di recuperare posizioni. Promette un rimpasto di governo, ha allontanato l’odiato ministro dell’Interno e Habib el-Hadly, il responsabile della sanguinosa repressione dei giorni scorsi (i morti finora sarebbero 300). Ha fatto dire al suo vice Suleiman che «il governo intende aprire immediate trattative con l’opposizione per avviare un dialogo sulle riforme istituzionali e legislative» e poi «lottare contro la disoccupazione, combattere la corruzione e la povertà fino a raggiungere l’equilibrio tra i salari e i prezzi». Mubarak ha anche tentato di organizzare una contro-manifestazione in suo favore a Ismailiya, ma con risultati poco incoraggianti.
• Chi ha in mano il pallino a questo punto?
Di sicuro non Mubarak. Il “New York Times” scrive che il presidente americano ha mandato al Cairo l’ambasciatore Frank G. Wisner, il quale gli avrebbe consegnato un messaggio personale di Obama in cui gli si chiede di farsi da parte. Il gioco in questo momento sembra in mano all’esercito, molto sensibile ai finanziamenti Usa (i militari incassano ogni anno dall’America un miliardo e 300 milioni). I militari hanno emesso un comunicato in cui garantiscono che «le forze armate non useranno la violenza contro i cittadini, ma mettono in guardia contro atti che possano minacciare la sicurezza dello Stato». Peraltro le forze armate giudicano «legittime» le rivendicazioni del popolo egiziano. «La libertà d’espressione è garantita per tutti unicamente con mezzi pacifici». Per capire fino a che punto il rais sia isolato basterà confrontare questa presa di posizione dell’esercito con l’appello lanciato in tv alla popolazione e che invitava a non partecipare alla protesta di ieri e restarsene in casa. Non gli ha dato retta nessuno. Così come è stato spazzato via, dalla protesta generale, il sistema del coprifuoco. Si sono riversati in strada, all’ora proibita, praticamente tutti.
• Il percorso per arrivare alla normalizzazione resta quello di cui mi ha parlato l’altro giorno?
Sì. Un governo di transizione, l’abrogazione della Legge d’emergenza che tiene il paese ostaggio della cricca al potere, elezioni, nuovo presidente, nuovo parlamento, nuovo governo, riforme costituzionali, e infine la democrazia come noi la intendiamo. Nel frattempo ci sarà da affrontare una crisi economica grave, perché ai soliti problemi si aggiunge adesso la caduta verticale dei proventi turistici, chiaramente ridotti a zero.
• Già, chi partirà mai, in questa situazione, per andare a vedere le piramidi o fare i bagni a Sharm-el-Sheik?
Valga per tutti l’appello del nostro ambasciatore Pacifico, che ha parlato ieri con “Radio anch’io”: «Sconsiglio tassativamente di venire in Egitto. Anche nelle zone che adesso possono apparire tranquille, la situazione può cambiare in poche ore. Ci vuole saggezza». Il capo dell’unità di crisi della Farnesina, Fabrizio Romano: «L’emergenza in Egitto è tutt’altro che finita». Perciò, se qualcuno ha prenotato, meglio perdere i soldi. Ieri un C130 dell’aeronautica militare ha riportato in Italia un settanta connazionali: arrivo alle sei del mattino a Pratica di Mare, commozione per l’ultima sbarcata, una bambina di 5 anni. Poi caffè, tè e cibo per tutti. Gli italiani rimasti in Egitto sono però ancora qualche migliaio.
• La possibilità che gli islamici si impadroniscano del potere è oggi più alta o più bassa?
Impossibile rispondere, ed in generale è meglio non fare previsioni. Non si deve escludere infatti la possibilità che l’Occidente rimpianga alla fine il tiranno Mubarak. I Fratelli musulmani hanno chiesto alla Corte costituzionale di destituire il rais, e per il resto non esprimono adesso nessuna linea particolare: vogliono prima le elezioni, e si tengono evidentemente al riparo per sfruttare più tardi eventuali vantaggi. È l’Iran, invece, che preme per la svolta fondamentalista e anzi ripete che le proteste di questi giorni vanno lette in chiave islamista. Il portavoce del ministero degli Esteri, Ramin Mehrman-Parast, ha auspicato ancora ieri «un Medio Oriente islamico e potente capace di opporsi a Israele». [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 2/2/2011]
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