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 2011  febbraio 02 Mercoledì calendario

Arrigo Paolo

• 1985 (~) Commerciante. Condannato a 11 anni di reclusione insieme all’ex convivente Elizabete Petersone (lettone) per «maltrattamenti continuati e aggravati seguiti dalla morte del piccolo Gabriel», il figlio di 19 mesi della donna, ucciso il 14 maggio 2009 a Imperia con un calcio che gli spappolò il fegato • «[...] Il processo (con rito abbreviato) aveva escluso l’aggravante dei futili motivi che invece, secondo la Procura generale, esistono e rendono non adeguata la pena. Gabriel morì poco prima di entrare in ospedale. L’autopsia accertò lesioni gravissime al fegato e alla milza. Secondo l’accusa, a procurargli quelle lesioni sarebbero stati, con calci e pugni nell’addome, la madre e il suo ex convivente. Inoltre il bimbo era stato legato al letto per il collo, sul quale è stata trovata una ferita piuttosto profonda. Nella prima fase delle indagini, i due ex conviventi erano stati accusati di concorso in omicidio preterintenzionale, poi derubricato in concorso in “maltrattamenti continuati e aggravati seguiti dalla morte”» (“Corriere della Sera” 2/2/2011) • «[...] Secondo la sua ex compagna, fu lei a colpire mortalmente il bimbo con un calcio. “Quando sono rientrato a casa, nel tardo pomeriggio del 14 maggio, ho trovato Gabriel infossato in un angolo del divano. Stava visibilmente male: aveva appena smesso di piangere. Ho cercato di metterlo in piedi per portarlo nel lettino, ma si è accasciato sul pavimento. Così l’ho preso in braccio [...] Ero solo in casa quando il bambino ha iniziato a rantolare. Elizabete era scesa in giardino a recuperare un lenzuolo che le era caduto su un albero di limoni [...] Dalla porta chiusa della cameretta ho sentito i rantoli di Gabriel. Quando sono entrato, aveva gli occhi sbarrati e il braccino in alto. Appena è arrivata Elizabete ho chiamato il 118, ma ormai era tardi. [...] L’ho vista sculacciarlo una sola volta e l’ho rimproverata. Non è più successo, almeno non davanti ai miei occhi. [...] Ma non era facile toccare l’argomento, anche perché non era figlio mio. Elizabete diventava isterica e violenta ogni volta che le si rimproverava il modo in cui si occupava di Gabriel. Il giorno stesso le avevo detto che era sporco. Non lo cambiava mai e nella sua stanza c’era sempre odore di pipì [...] il 6 marzo, si era rotto un braccino cadendo dal letto. Da quel momento, fino al 30 aprile, aveva portato un bustino che gli provocava grandi disagi. Sua madre riconduceva ogni sofferenza a quel gesso. Tutto sommato, i miei genitori e io eravamo rassicurati dal fatto che qualche medico lo avesse visto [...] in seguito a questo incidente l’ospedale contattò la squadra mobile di Imperia. Era il secondo ricovero in pochi mesi: il 19 gennaio, prima della nostra convivenza, era già stato soccorso con segni sul corpo che non facevano pensare a cadute [...] la convivenza mi ha svelato lati di Elizabete che prima non conoscevo. Mi sono rivolto a un poliziotto: insieme con lui e mio padre abbiamo deciso che la soluzione migliore era accelerare tutte le pratiche per il rimpatrio di lei e del bambino. Il 20 aprile avevo dato la disdetta dell’affitto della casa. Ma lei non sembrava farsene una ragione. [...] Le ero affezionato, ma di certo non l’amavo. Lei? Chi lo sa... Forse all’inizio sì. [...] Come potevo lasciare per strada una ragazza lettone, senza un soldo, con un bambino piccolo e ingessato? [...] io sono tranquillo. Ho la coscienza a posto e quindi la notte dormo» (Lucia Scajola, “Panorama” 8/4/2010).