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 2011  febbraio 02 Mercoledì calendario

AZIONE COMUNE, BANCHE PIÙ FORTI

Nonostante l’ottimismo di facciata, la situazione delle banche europee e quindi anche italiane è ben lungi dall’essere tornata alla normalità. La crisi greca ha innescato fin dallo scorso anno una reazione a catena. Una reazione che genera per le banche perdite sui titoli pubblici in portafoglio (in via immediata per quelli valutati ai prezzi di mercato) e un aumento del costo della raccolta di fondi sul mercato, che ormai costituisce una parte notevole del loro passivo. In termini pugilistici, un uno-due che può far tremare le ginocchia anche a un peso massimo, soprattutto se il fenomeno dovesse ampliarsi.
L’aggiornamento del Global financial stability report del Fondo monetario internazionale, pubblicato nei giorni scorsi, ha messo in evidenza che il mercato sta legando in modo sempre più stretto la percezione del rischio sovrano e del rischio bancario. Anzi, la misura stimata del rischio bancario (che poi determina gli spread richiesti) cresce più che proporzionalmente al crescere del rischio paese. Il Fondo mette anche in evidenza un fatto ormai noto: non sono più colpiti solo Grecia, Irlanda e Portogallo, ma ormai anche la Spagna e «in minor misura, l’Italia». Il debito da rifinanziare nel 2011 è notevole anche nei grandi paesi dell’Unione europea: si va da un minimo del 7% circa della Germania (quasi la metà di banche) ad oltre il 12% l’Italia (nel nostro caso per oltre due terzi si tratta di debito pubblico). Sempre il nuovo rapporto del Fondo contiene anche una nota di ottimismo: i sistemi bancari sono molto più robusti sul piano patrimoniale, anzi questo sembra essere l’unico vero progresso finora compiuto per contenere le spinte destabilizzanti: anche nei paesi periferici colpiti dalla crisi, i coefficienti di capitale Tier-1 (quello di miglior qualità) sono superiori di almeno due-tre punti rispetto a prima della crisi.
Certo, anche questo miglioramento potrebbe essere spazzato via se la situazione generale peggiorasse decisamente (e gli stress test europei che attendiamo hanno proprio la funzione di far capire al mercato qual è il margine vero di resistenza di ciascuna banca) ma si tratta di un dato che dimostra che, sia pure con grande fatica, le autorità di vigilanza stanno andando nella giusta direzione e spingendo le banche verso gli obiettivi stabiliti con i nuovi accordi di Basilea. Un passo essenziale non solo per garantire la stabilità finanziaria futura, ma per mettere il sistema bancario nelle condizioni migliori per assistere famiglie e imprese, dunque per garantire le condizioni per la ripresa economica, che è la strada maestra (anzi, l’unica strada) per rendere tollerabile un debito che, pubblico o privato, è cresciuto in misura eccessiva in tutti i paesi.
Proprio per questo, ieri il Governatore ha compiuto un passo irrituale e ha partecipato, insieme ad altri dirigenti di via Nazionale, al Comitato esecutivo dell’Abi per ribadire la necessità di uno sforzo comune per garantire in primo luogo «condizioni distese di accesso alla liquidità», eliminando eventuali ostacoli normativi e fiscali nazionali e, in generale, per garantire alle banche italiane di confermare le condizioni di maggior robustezza rispetto a molte altre europee. Un obiettivo non facile da raggiungere, perché occorre mantenere livelli di redditività compatibili con lo sforzo di ricapitalizzazione che la situazione richiede e poiché i profitti non saranno più quelli del passato, occorre anche gestire il non facile rapporto con gli azionisti, cioè nel caso italiano con le fondazioni, che dovranno accettare che la destinazione degli utili fra capitale e dividendi privilegi il primo assai più che in passato.
La posta in gioco è davvero alta: in prima battuta, la disponibilità di credito alle imprese, non solo da parte delle grandi banche, ma anche di quelle locali (non a caso il comunicato cita espressamente il comitato delle piccole banche) che assicurano una parte significativa dei finanziamenti alle imprese di minore dimensione, che costituiscono ancora la spina dorsale del nostro sistema produttivo.
La partecipazione eccezionale del governatore, la costituzione di un gruppo di lavoro per formulare «proposte condivise» è un segno che i problemi sono importanti e urgenti, ma anche che c’è la volontà comune di individuare soluzioni adeguate. Non è una via scontata: basti pensare allo sconcerto suscitato da un recente documento di discussione della Bank of England che afferma papale papale che per rendere il sistema bancario davvero robusto occorrerebbero livelli di capitale ben superiori non solo a quelli attuali, ma anche a quelli previsti a regime da Basilea, magari doppi. Nanni Moretti chioserebbe: «Continuiamo così, facciamoci del male».
Senza bisogno di fughe in avanti di questo tipo, la Banca d’Italia ha ieri posto le condizioni per individuare soluzioni tecniche adeguate. Ma, ribadendo la gravità dei problemi finanziari, ha indirettamente ribadito la drammatica urgenza dell’azione di governo per una vera ripresa economica.