Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 2/2/2011, 2 febbraio 2011
IL PETROLIO TORNA A QUOTA 100 DOLLARI
Venerdì, al precipitare della situazione in Egitto, il petrolio si era fermato a un passo dai cento dollari al barile. Ieri la soglia psicologica è stata superata di slancio dal Brent, che per la prima volta da ottobre 2008 ha riconquistato un prezzo a tre cifre, chiudendo a 101,01 $ (+1,6%).
Era solo questione di tempo, osservano gli analisti: le tensioni geopolitiche hanno dato la spallata decisiva a una soglia che era già sul punto di cedere, sotto la spinta di una domanda di greggio sempre più florida e dell’interesse crescente degli investitori per le materie prime. Ci sono anche fattori speculativi a spiegare l’accelerazione delle quotazioni: oltre 100 $/barile, spiegano i trader, scattano ordini di acquisto automatici a raffica. Mentre al Nymex – dove il greggio Wti è salito del 7,6% in due sedute, fino a 92,19 $/barile – il caso ha voluto che gli hedge funds proprio la settimana scorsa avessero ridotto del 18% le posizioni nette lunghe (in pratica, le scommesse di ulteriori rialzi). Venerdì la crisi egiziana ha spinto molti investitori a riacquistare contratti, per riposizionarsi in vista del rally.
Sul mercato fisico per il momento nulla è cambiato. Le compagnie petrolifere che operano in Egitto stanno evacuando il personale non essenziale (l’Eni, primo partner del Cairo, ha rimpatriato ieri 289 persone), ma le attività estrattive proseguono normalmente. E comunque il Cairo non esporta petrolio: tutta la produzione locale, che pure non è trascurabile (circa 685mila barili al giorno) viene consumata in loco. Anche le vie di transito continuano inoltre a funzionare in modo regolare. Sarebbe tuttavia ipocrita respingere come infondati i timori che turbano le contrattazioni sui mercati petroliferi.
L’incubo numero uno è che l’effetto domino possa proseguire, destabilizzando altre aree del Medio Oriente. Ma anche se la crisi non varcasse i confini egiziani, ci potrebbero comunque essere gravi ripercussioni. L’Egitto è infatti un crocevia fondamentale per i trasporti di idrocarburi. Dal Canale di Suez, uno passaggio angusto, che congiunge il Mar Rosso con il Mediterraneo, transita l’8% del commercio marittimo mondiale: circa 35mila navi nel 2009, di cui il 10% cariche di petrolio e derivati, per un totale di 1,8 milioni di barili al giorno (mbg), prevalentemente da sud a nord, in direzione dei mercati europei (volumi che nel 2010 dovrebbero essere cresciuti, grazie alla ripresa economica). A questi bisogna aggiungere 17,5 milioni di tonnellate di Gas naturale liquefatto (Gnl), di cui invece l’Egitto è fra i dieci maggiori esportatori mondiali. Oltre che dal canale di Suez il greggio transita verso il Mediterraneo, al ritmo di 1,1 mbg, anche attraverso l’oleodotto Sumed (Suez-Mediterranean Pipeline). Quest’ultimo ha una capacità complessiva di trasporto di 2,3 mbg, per cui potrebbe eventualmente servire a far fronte a rallentamenti o brevi interruzioni del traffico nel canale di Suez. Ma se entrambe queste vie diventassero inutilizzabili, sarebbe un vero disastro: le petroliere provenienti dall’Asia sarebbero costrette a circumnavigare il capo di Buona Speranza, una rotta che richiede oltre 20 giorni in più e che farebbe enormemente lievitare i costi.
L’eventualità per fortuna viene giudicata remota: per ora si segnala solo qualche rallentamento nelle pratiche burocratiche e nel pagamento dei diritti di transito. Chiunque governi al Cairo, difficilmente rinuncerà alle entrate legate al canale di Suez (circa 5 miliardi di dollari l’anno scorso). E gli analisti ritengono molto improbabile un attentato: «In assenza di un movimento politico organizzato – osserva ad esempio Société Generale – non riteniamo che l’offerta possa essere minacciata da attacchi paramilitari al canale di Suez o alla Sumed. È più probabile che l’offerta possa essere interrotta a causa di scioperi».
L’Opec, se necessario, dovrebbe comunque intervenire. Il Cartello ha finalmente dato una timida apertura in questo senso. «Il regno saudita si rende conto di avere un ruolo importante nel promuovere la stabilità dei mercati petroliferi», ha assicurato il ministro Ali al Naimi, ribadendo la sua preferenza per un prezzo del greggio tra 70 e 80 $/barile. Più esplicito il segretario generale dell’Opec Abdullah al-Badri: «Se c’è un problema in Egitto dovremo fare qualcosa». I ministri del Cartello non sembrano comunque aver fretta: per consultarsi hanno rinviato al 22 febbraio, quando si ritroveranno a Riad per l’International Energy Forum.