Marco Ferrante, Il Sole 24 Ore 2/2/2011, 2 febbraio 2011
COME AGGIORNARE L’ALBUM DI FAMIGLIA DELLE AZIENDE ITALIANE
Anche le imprese famigliari si pongono il problema del ricambio della loro classe dirigente: ogni anno il 6% di queste aziende registra un passaggio generazionale. E il rapporto sul capitalismo famigliare dell’osservatorio Aub del novembre scorso segnala un innalzamento dell’età media dei leader aziendali. Negli ultimi anni si è assistito a un leggero invecchiamento della leadership aziendale, gli ultrasettantenni sono passati dal 15,3% del 2008 al 18,6 del 2009: una tendenza che trova un riflesso in alcuni casi di cronaca finanziaria di grandi imprese, Del Vecchio di Luxottica, Ferrero, Caprotti di Esselunga per esempio. Quest’anno, se la congestione del sistema politico si placherà, in Parlamento si potrebbe tornare a discutere sia delle nuove norme sulla successione, con un’ipotesi di riduzione della legittima, sia di un aggiustamento delle norme sui patti famigliari.
Un ricambio efficiente è una delle premesse per la longevità delle famiglie. E per il capitalismo famigliare italiano la longevità è un fattore culturale. «Insieme ai giapponesi e ai francesi siamo il paese con maggiore tradizione, il gruppo degli Henokiens ci dà un’idea di questo fenomeno», dice Guido Corbetta, ordinario di strategia aziendale alla Bocconi. Gli Henokiens sono un’associazione che raccoglie le aziende appartenute a una sola famiglia con più di 200 anni di storia. Su un totale di 40, 14 sono italiane, 12 francesi, 5 giapponesi. Da noi la più antica è Barovier & Toso, origine 1290, vetrai: l’anno scorso l’80% è stato rilevato dal fondo di private equity Avm. Secondo uno studio della Bryant University, sulle 15 più antiche aziende famigliari nel mondo, metà sono italiane. Mille anni per la molto citata Pontificia Fonderia Marinelli di Agnone, 870 per l’azienda agricola Barone Ricasoli.
Quali sono le caratteristiche che una famiglia deve avere per essere longeva? Dice Gioacchino Attanzio, direttore generale dell’Aidaf, l’Associazione italiana delle aziende famigliari, uno dei fondatori dell’Aub, l’osservatorio condotto insieme a Bocconi e UniCredit sul capitalismo famigliare (la sigla Aub sta per Aidaf, Unicredit e Bocconi): «La longevità di una famiglia non dipende solo dalla pura capacità e sveltezza imprenditoriale. Una famiglia longeva deve saper regolare i suoi rapporti interni. E affrontare i passaggi generazionali. I giovani portano nuovi stimoli, ma devono saper convivere con la generazione precedente. Un’azienda famigliare che regga nel tempo non basta che sia solo bene amministrata, ma deve anche avere prontezza nei cambiamenti. Deve essere intimamente shumpeteriana».
Di solito i passaggi generazionali emergono alle cronache quando le famiglie litigano o c’è il rischio che lo facciano, o quando il trasferimento delle responsabilità dai padri ai figli rallentano a causa della sfiducia dei genitori. Secondo il rapporto Aub su oltre 4.200 imprese a controllo famigliare con fatturato sopra i 50 milioni, in tre quarti la leadership individuale è nelle mani della famiglia.
Le famiglie regolano le successioni con formule diverse. Spiega Marco Gabbiani, capo della direzione che si occupa d’imprenditori e aziende di famiglia nell’ambito del private banking di UniCredit, che esistono sostanzialmente quattro meccanismi successori: «Il primo, il più tipico, è quello della graduale cooptazione, l’ingresso dei figli dopo una fase di esperienza all’estero o all’esterno del gruppo famigliare con precedente o successivo apprendistato in azienda». Per esempio, una terza generazione interessante è quella dei Lunelli (vini Ferrari), con un amministratore delegato, Matteo, che dopo un periodo all’estero, in Goldman Sachs, è rientrato in Italia a guidare la società. Nella grande impresa famigliare l’innesto graduale della nuova generazione è sostanzialmente la strada scelta dai Berlusconi nei vari rami di attività della holding Fininvest e dai Caltagirone, nei settori cemento, editoria e immobiliare.
«La seconda strada per organizzare il passaggio generazionale - prosegue Gabbiani - è quello della suddivisione delle attività. Nella ripartizione delle competenze, un’attività resta core, e tutte le collaterali vengono affidate a qualcuno della nuova generazione». Per esempio? «L’attività industriale principale a uno dei figli, a un altro un investimento in un’attività emergente, per esempio in questa fase le fonti rinnovabili, e a un altro figlio ancora la gestione di un portafogli finanziario o immobiliare».
Il terzo caso è quello della concentrazione dell’attività in una holding, con un solo famigliare al comando e gli altri famigliari associati che percepiscono dividendi. «È un caso tipico di patto famigliare», dice Gabbiani, e conclude: «Il quarto caso infine è quello della cosiddetta cessione intrafamigliare. Un ramo della famiglia compra dagli altri che escono dalle attività e ricevono denaro in cambio di asset aziendali».
Ovviamente se queste sono le tipologie più frequenti, molti casi stanno a cavallo. Cooptazione e holding, ripartizione e cessione, eccetera. Ci sono casi complessi. Per esempio la seconda generazione di due soci di prima generazione. Si tratta di un’azienda famigliare, ma detenuta da due distinte famiglie che devono trovare soluzioni adeguate per la governance e poi meccanismi compensativi per gli altri famigliari. «C’è il caso di un’azienda del centro Italia, dove il patto prevede che ogni famiglia possa esprimere un solo rappresentante in consiglio, e un rigido protocollo per i benefit e le pertinenze aziendali per tutti gli altri, dalle auto ai rimborsi spese», dice Gabbiani.
Manuela Soncini, responsabile della struttura di consulenza successoria e fiscale del private banking di UniCredit, osserva: «Siccome i passaggi di mano sono graduali, la cosa importante delle cosiddette compresenze generazionali è la separazione dei ruoli e l’individuazione netta di una catena di comando. Tutto ciò spesso è semplificato da un fatto: nel capitalismo famigliare non è solo un problema di soldi, spesso per le famiglie c’è in gioco un elemento di cultura famigliare, l’azienda è un valore condiviso». Un caso interessante da questo punto di vista è l’aumento di capitale a cascata da parte dei soci dell’accomandita Giovanni Agnelli Sapaz nel 2003, in cima alla catena di comando della Fiat, in un momento in cui l’industria torinese veniva data per spacciata.
Il gruppo Ambrosetti, una delle società di consulenza leader in Italia, si occupa di convivenza e continuità generazionale dagli anni 80. Se ne occupa su tutte le dimensioni d’impresa, dagli otto milioni agli svariati miliardi di fatturato. Spiega Luca Petoletti, partner, responsabile dell’area famiglia-impresa: «Intanto è interessante notare che in Italia solo il 7% delle imprese prevede espressamente delle regole d’ingresso per i figli. Una di cui ci siamo occupati è Olio Monini di Spoleto, in cui alcuni anni fa la famiglia ha riacquistato una quota controllata dalla Star dei Fossati. Impresa plurigenerazionale, con lungimiranza i fratelli Monini si sono dati regole d’ingresso per la nuova generazione, in un momento in cui i figli erano ancora adolescenti».
Un’altra storia interessante è quella dei Gabrielli di Ascoli Piceno che sono nella grande distribuzione e fatturano 550 milioni. Sono arrivati alla terza generazione, composta da dieci persone. «Una delle peculiarità di questa famiglia - dice Petoletti - è che, siccome nessuno della terza generazione aveva manifestato la volontà di assumere la ladership, hanno deciso di prendere un amministratore delegato esterno e hanno professionalizzato la governance: in cda ci sono due rappresentanti della seconda generazione, tre della terza, due esterni, l’a.d. e un consigliere indipendente, Roberto Dorigo, ex amministratore delegato di Ferrero». Aggiunge: «I Randazzo di Palermo, una delle prime catene commerciali di ottica in Italia, invece hanno fatto una scelta intermedia, un direttore generale esterno, con una presidenza operativa espressa dalla famiglia e un patto famigliare per i figli».
La tendenza a ricorrere ai manager esterni nei passaggi generazionali è in crescita. Secondo l’Aub, «mentre nel quinquennio 2000-2004 il saldo tra famigliari e non famigliari in occasione delle successioni è inequivocabilmente a favore dei leader famigliari, dal 2005 in poi si osserva un progressivo ma deciso cambiamento di rotta: nel solo anno 2008, infatti, il saldo a favore di non famigliari è di ben +19 (57 non famigliari entranti in aziende del campione a fronte di 38 uscenti) su un totale complessivo di 102 casi di successione. Tale tendenza, se può essere in parte ascrivibile a una reazione alla crisi, rappresenta certamente un elemento da tenere in attenta considerazione per il futuro».
La scelta di affidarsi a manager esterni è quella che di solito consente i grandi salti dimensionali. I Wendel hanno 300 anni, forse la più longeva delle grandi famiglie del capitalismo europeo. David Landes, storico dell’economia harvardiano, nel suo Dinasties gli dedica l’ultimo capitolo. Acciaieri per 250 anni, oggi la Wendel Investissment è una holding di partecipazioni finanziarie che vale tra i 3 e i 6 miliardi di euro. La famiglia Wendel è ancora attiva. Il presidente del consiglio di sorveglianza è Ernest-Antoine Sellier discendente del fondatore, e altri cugini siedono nel board. Ma il passaggio a questa fase è stato possibile solo grazie alla decisione della famiglia di scegliere consapevolmente il mestiere di azionista per lasciare ai manager la guida operativa.