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 2011  febbraio 02 Mercoledì calendario

SUPERARE L’ITALIA «DUALISTICA» PER RILANCIARE LA NOSTRA ECONOMIA

Il rilancio dell’economia italiana interessa tutti ma per evitare improvvisazioni e soluzioni sghembe, come la patrimoniale o la riforma dell’articolo 41 della Costituzione, bisogna trattare del «sistema Paese» che riguarda anche le Istituzioni e la Società. Ciò è necessario se vogliamo riferirci a quel modello di «economia sociale di mercato» richiamato dai Trattati europei alla luce dei quali va anche interpretata (ed eventualmente modificata) la nostra Costituzione.
L’Italia è strutturalmente dualistica: Nord e Sud, ricchezza privata e debito pubblico, efficienza del manifatturiero e inefficienza burocratica, evasione ed eccesso di fiscalità, occupati superprotetti e giovani scoraggiati. Un bilancio delle luci e delle ombre è pressoché impossibile ma è certo che dobbiamo fare di più per superare i dualismi senza svalutare quanto fatto.
Nella crisi abbiamo retto bene, specie per merito del ministro Tremonti (ma anche per la solidità del nostro risparmio e delle nostre banche), sia contenendo il peggioramento nel deficit di bilancio pubblico e nel debito pubblico rispetto al Pil sia attenuando gli effetti occupazionali negativi con molte risorse destinate agli ammortizzatori sociali (anche per merito del ministro Sacconi). In questo siamo stati tra i migliori in Eurolandia. Ma la nostra crescita rimane da almeno tre lustri bassa, con un tasso medio annuo inferiore di un terzo abbondante rispetto a quello dell’Unione economica e monetaria (Uem). È troppo. Tuttavia non possiamo accelerarla con più spesa pubblica o con sgravi fiscali generalizzati perché gli sprechi perduranti e il bilancio pubblico non lo consentono. Sono perciò necessarie riforme sistemiche che richiedono continuità, coerenza e tempo. Alcune riforme parziali sarebbero però utili subito. Due ci paiono prioritarie. E cioè: una forte fiscalità di vantaggio, finanziata da tagli ulteriori e selettivi nella spesa pubblica, per far crescere con aggregazioni la dimensione delle imprese e gli investimenti in tecnoscienza; una riforma del mercato del lavoro che valorizzi, anche fiscalmente, le retribuzioni da produttività attraverso la contrattazione di secondo (territoriale) e di terzo livello (aziendale) dentro una cornice contrattuale nazionale.
Ma i dualismi italiani si superano solo nel sistema Paese operando anche sulle altre due filiere che molto condizionano l’economia: la società e le istituzioni.
La società italiana rimane molto solidaristica e coesa malgrado tante difficoltà. La sua forza consiste nella rete degli oltre 8.000 comuni (per il vero troppi!) che sono anche un collante comunitario, nelle decine di migliaia di associazioni, nei sindacati, nelle parrocchie. Questa rete solidaristica, che taluno critica, è preziosa e va valorizzata ma non pietrificata. Sono perciò necessari incentivi affinché essa esprima sempre più una solidarietà dinamica dove l’erogazione di beni comunitari fatta da soggetti sociali, che mai devono puntare al profitto o alla preservazioni di rendite (comprese quelle sindacali), avvenga in modo sempre più efficiente e professionale, valorizzando la prossimità alle persone per una società attiva. Un ruolo sussidiario della società rispetto allo Stato è già in atto e va potenziato, anche nella logica del 5 per mille ovvero della fiscalità elettiva.
Le istituzioni sono infine il contenitore dove tutto si modella o si deforma. Partiremo con una provocazione: il distacco in termini di quote di Pil su quello di Eurolandia tra Francia e Italia è di 4,3 punti a nostro svantaggio, mentre la Francia è di 5,5 punti dietro la Germania. Ma il distacco in termini di istituzioni è molto più grande tra l’Italia da un lato e il sistema franco-tedesco dall’altro. Perciò questi due Paesi operano nella Uem su un piano di parità mentre l’Italia è nettamente staccata. Da quando è iniziata in Italia l’epoca della Seconda Repubblica, cioè dal 1992, tre sono stati i più importanti eventi istituzionali. L’ingresso nell’euro, voluto dal governo Prodi, che ci ha imposto una disciplina di bilancio e una ristrutturazione competitiva (purtroppo) parziale perché solo manifatturiera e non sistemica. Il ruolo, dal 1999 ad oggi, dei presidenti della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano, che hanno espresso l’unità nazionale sia attenuando i movimenti tellurici dei partiti sia interpretando i veri bisogni di innovazione, anche economica, dell’Italia in Europa. Purtroppo i ceti politico-partitici non hanno tratto dal loro insegnamento quella forza di coesione nazionale ed europea che ci avrebbe consentito di affrontare risolutivamente i dualismi economici. Infine la riforma federalista del titolo V della Costituzione fatta, in modo un po’ affrettato, dal governo Amato nel 2001 ed ora in fase di necessario completamento con il federalismo fiscale che porta l’impronta istituzionale del ministro Tremonti. Questo è un passaggio cruciale (anche per una successiva ed urgente riforma fiscale) dal quale può derivare all’Italia unita più rigore nei bilanci pubblici degli enti substatali. È una transizione che richiede però una Responsabilità Repubblicana condivisa tra maggioranza e opposizione all’insegna di un rinnovato incivilimento dell’Italia.
Alberto Quadrio Curzio