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 2011  febbraio 02 Mercoledì calendario

L’ENIGMA DI MARIO ROATTA GENERALE DEL REGIME

Mi sono imbattuto, nelle mie letture, nella figura del generale Mario Roatta. Ideatore dell’assassinio dei fratelli Rosselli, sterminatore di partigiani in Dalmazia, difensore di ebrei nella stessa area. Può aiutarmi ad inquadrare correttamente questo personaggio?
Alessandro Sanna
iskander66@gmail.com
Caro Sanna, quando incontrò Roatta a Brindisi dopo l’ 8 settembre, Harold Macmillan, ministro residente della Gran Bretagna nel Mediterraneo, scrisse nei suoi diari: «un buon linguista, un intelligente e navigato militare con tendenza a essere un seccatore. Il perfetto attaché militare… il suo cervello è più sviluppato e ricco di sostanza del suo fegato» . Per Indro Montanelli («L’Italia dell’Asse» , ed. Rizzoli) «non aveva il fisico del condottiero. Con gli occhi e la incipiente pinguedine— caratteristiche comuni a troppi alti ufficiali italiani del tempo— era un tipico generale da tavolino e da corridoio, capace di destreggiarsi egregiamente nella rivalità e negli intrighi che inquinavano i vertici delle Forze armate, abile nel tessere ottimi rapporti con la gerarchia fascista» . Per Ulderico Munzi, autore di un racconto storico o romanzo sceneggiato intitolato «Il generale» (Angelo Colla editore), fu un personaggio demoniaco, il «cuore di tenebra» dell’italianità. Per molti altri fu lo sconfitto di Guadalajara (la battaglia perduta del corpo di spedizione italiano in Spagna durante la guerra civile), il creatore dell’intelligence militare del regime fascista, il regista occulto dell’assassinio dei fratelli Rosselli in Francia nel giugno 1937, il massacratore dei partigiani titini in Croazia, ma anche, come lei ricorda, il protettore degli ebrei che cercavano rifugio nelle zone d’occupazione dell’esercito italiano. Aggiungo, per completare il quadro, che in un libro di memorie apparso dopo la guerra («Otto milioni di baionette» ) fu anche un giudice acuto e obiettivo delle debolezze dell’apparato militare italiano prima della seconda guerra mondiale e degli errori strategici commessi da Mussolini durante il conflitto. Ma non so se l’intelligenza della sua analisi debba essere considerata un merito o, piuttosto, una colpa ulteriore. Roatta fu due volte capo di Stato maggiore e avrebbe dovuto, nell’esercizio di queste funzioni, dire con franchezza a Mussolini e al re quali e quanti rischi avrebbe corso il Paese. Lo fece, sembra, nel caso della guerra contro la Grecia, ma debolmente e brevemente. Come altri generali preferì la piccola navigazione dei grandi burocrati, più attenti a scegliere la rotta secondo le convenienze della carriera piuttosto che gli interessi della nazione. Personalmente ho qualche dubbio sulle sue personali responsabilità nella sconfitta di Guadalajara e nell’assassinio dei fratelli Rosselli. Ma non è possibile dimenticare che tra i fuggiaschi dell’ 8 settembre, a bordo della nave che salpò da Pescara e approdò a Brindisi, vi era anche il generale Roatta, capo di Stato maggiore di un esercito che era stato abbandonato a se stesso. Questo episodio proietta un’ombra sul resto della sua carriera.
Sergio Romano