FRANCO GIUBILEI, La Stampa 2/2/2011, 2 febbraio 2011
“Non bollite il bollito e i sapori esplodono” - Da bambino Massimo Bottura si ficcava sotto il tavolo di cucina, dove la madre tirava la pasta dei tortellini, per poi rubarli e mangiarseli crudi
“Non bollite il bollito e i sapori esplodono” - Da bambino Massimo Bottura si ficcava sotto il tavolo di cucina, dove la madre tirava la pasta dei tortellini, per poi rubarli e mangiarseli crudi. Oggi è lo chef migliore del mondo, così come lo ha appena incoronato l’Accademia internazionale di gastronomia di Parigi. Quarantotto anni, battezzato da un altro santone della cucina, il catalano Ferran Adrià, «Max» Bottura guida «la brigata» – la definizione è sua - di aiuto-cuochi e camerieri dal ponte di comando del suo ristorante, l’Osteria Francescana, in centro a Modena. In questi anni ha collezionato premi e riconoscimenti che lo hanno fatto salire nelle classifiche, fino alla decisione dell’Académie di consacrarlo chef dell’anno per la capacità di sintetizzare ai fornelli tradizione, scienza ed arte: «Guardo al passato e non mi dimentico mai da dove vengo, però il mio è uno sguardo critico e non nostalgico, perché attraverso la tecnica proietto il meglio del passato nel futuro – spiega -. La mia è tecnica applicata alla materia prima non per stupire, ma per cercare di sublimarla. Questo è un premio che mi rende orgoglioso e che va a tutto lo staff, la brigata di sala e di cucina». Il Bottura-pensiero, quando arriva in tavola, si traduce in cibi dal vago sapore concettuale come la spuma di mortadella o il bollito misto non bollito, che fin dalla definizione evocano piatti locali e ultra-tradizionali, rielaborati però secondo metodiche sperimentali. Un esempio di come l’idea si trasforma in prassi gastronomica? «Una volta ho voluto ripercorrere il viaggio di Mario Soldati lungo il Po, ma partendo dal delta – racconta il cuoco modenese –. Il piatto che avevo in testa era la foto del momento in cui gli Estensi lasciavano Ferrara per Modena e incontravano la civiltà contadina: così ho fatto l’anguilla laccata con la saba, un mosto cotto tipico della campagna modenese, con concentrazione di mela campanina, che viene dal Mantovano, e crema di polenta, in omaggio al Veneto». All’inizio l’ascesa di Bottura verso l’élite dei cuochi stellati è segnata da tappe casuali, a parte l’imprinting dei tortellini fatti in casa da mamma e nonna: prima gli studi di ragioneria, poi l’iscrizione a Giurisprudenza, abbandonata per rilevare il primo ristorante della sua vita, il Campazzo a Nonantola. «Era stato gestito da un elettrauto che nel 1986 l’ha passato a me – ricorda lo chef –. Poi ho incontrato Lidia Cristoni, una “rezdora” (in dialetto modenese donna di casa, ndr) di Nonantola che mi ha portato dentro la tradizione». Il secondo passo è la conoscenza di Georges Coigny, che insegna al giovane cuoco la classicità della cucina francese. «Nel ‘92 Ducasse mi ha portato all’Hotel de Paris, ha ripulito la mia cucina e mi ha insegnato la tecnica applicata agli ingredienti per concentrare i sapori. Da mia moglie invece ho imparato a concettualizzare i piatti e a tenere duro, quando nel 2000 stavo per lasciare Modena perché non mi sentivo capito e volevo accettare l’offerta di una casa di moda per aprire un ristorante a Londra». L’incontro con Ferran Adrià è un altro momento decisivo: «Mi ha insegnato a pensare con la mia testa». Di recente, lo chef si è preso il lusso di declinare l’offerta della Apple, che lo avrebbe voluto a capo dei servizi di ristoro di Cupertino, perché una scelta del genere lo avrebbe obbligato a lasciare il suo ristorante. Ora Bottura pensa al futuro nell’ottica di chi non può smettere di fare ricerca, per creare «una nuova tradizione moderna»: «E’ un’idea che si traduce in un piatto come il bollito misto non bollito: perché devo prendere una carne straordinaria come quella della Granda e farla bollire? Cerco di preservare vitamine, proteine e proprietà organolettiche attraverso basse temperature e cotture prolungate, in modo che ne esca una carne viva che non ha più bisogno di salse forti per esprimersi». E anche se il menu del suo ristorante è un fioriredi piatti dai nomi sofisticati, alla base resta l’idea di ricette semplici e ancorate alla tradizione come i passatelli, per cui basta recuperare il pane della settimana, un uovo fresco e parmigiano reggiano: «Non bisogna fare la spesa una volta alla settimana riempiendo il frigo di surgelati, ma seguire sempre la via tracciata dalla mamma e dalla nonna, acquistando verdure di stagione e i prodotti migliori del nostro Paese».