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 2011  febbraio 02 Mercoledì calendario

SENATO, POSTO CHIAVE ALLA PUPILLA DI ROSI MAURO —

Segretario generale di Palazzo Madama: nella pubblica amministrazione non sono molte le poltrone che garantiscono altrettanti soldi e altrettanto potere a chi ha la fortuna di trovarsi seduto lì sopra. Come sa bene Antonio Malaschini. Il quale ora passa da un dorato stipendio di oltre mezzo milione di euro l’anno a una dorata pensione di analoga entità. A cui si sommerà per il prossimo decennio anche una dorata sine cura: lo stipendio da magistrato di Palazzo Spada, che in base alla legge l’ormai ex segretario generale del Senato, 64 anni fra tre mesi, potrà riscuotere fino all’età di 75 anni. Venerdì 28 gennaio il Consiglio dei ministri ha nominato il Cavaliere di gran croce Malaschini consigliere di Stato, aprendo contestualmente la strada a una successione molto contrastata. Fuori gioco il numero due dell’amministrazione, il vicesegretario più anziano Giuseppe Castiglia, sul quale evidentemente pesano gli apprezzamenti che riscuoterebbe nel centrosinistra, il presidente del Senato Renato Schifani punta su un consigliere parlamentare di 52 anni, donna. Si chiama Elisabetta Serafin ed è tradizionalmente considerata nelle grazie di Malaschini. Una scelta che potrebbe apparire perfino coraggiosa e controcorrente, per una burocrazia paludata nella quale le donne sono come le mosche bianche: basti dire che dei 25 consiglieri parlamentari attualmente in organico ben 22 sono uomini e che dal 1941 a oggi mai nessuna donna è arrivata alla vetta dell’amministrazione. Peccato che stia letteralmente scatenando un putiferio in Senato, suscitando anche le dure reazioni dell’opposizione. Il fatto è che Elisabetta Serafin scavalcherebbe con un balzo da canguro non soltanto i tre vicesegretari generali Castiglia, Nicola Benedizione e Fabio Garella, ma pure gli altri 17 consiglieri parlamentari che la precedono nella graduatoria di anzianità dei ruoli. Ma soprattutto il centrosinistra intravede dietro questa nomina un piano per mettere l’amministrazione di Palazzo Madama in mani non ostili al Carroccio, d’intesa con il Pdl. Un disegno del quale sarebbe artefice la vicepresidente del Senato Rosi Mauro, fedelissima di Umberto Bossi e presidente del sindacato leghista Sinpa, nonché determinata sostenitrice della candidatura di Elisabetta Serafin. Tutto ciò in previsione magari di una clamorosa staffetta fra Pdl e Lega ai vertici di Palazzo Madama, se anche le prossime elezioni politiche dovessero premiare l’attuale coalizione. Ma questa, va detto, non è altro che materia per i dietrologi. Gli stessi che fanno notare come lo stato maggiore del Carroccio prediliga sempre più spesso il confortevole ristorante del Senato per i vertici politici protratti fino a tarda sera, per la felicità del personale addetto alla sala. Con queste premesse è scontato che la nomina del segretario generale, di competenza del consiglio di presidenza su proposta di Schifani, si risolverà nell’ennesimo scontro fra maggioranza e opposizione. Nel caso in cui i rappresentanti del centrosinistra (sette su nove) dovessero votare contro la candidata del presidente del Senato, per la prima volta nella storia l’investitura di una figura a cui viene tradizionalmente attribuito un ruolo super partes non avverrebbe l’unanimità. Non soltanto, come potrebbe sembrare, una questione di forma. Gli otto anni di Malaschini sono stati un’epoca felice. Probabilmente irripetibile. Dal 2002 al 2010 le spese di Palazzo Madama sono passate da 463,6 a 594,5 milioni, con un aumento mostruoso del 28,2%(il doppio dell’inflazione). E la linea Maginot eretta a difesa dei privilegi, sia dei senatori sia dei dipendenti di Palazzo Madama, ha resistito benissimo: mostrando appena qualche crepa di poco conto. Ma per quanto ancora potranno evitare che i nodi vengano al pettine, è difficile dire. E non è escluso che il successore di Malaschini debba prima o poi affrontare una stagione assolutamente inedita. Quella dei tagli: veri.
Sergio Rizzo