
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Da quando il governo ha presentato il Documento di programmazione Economica e Finanziaria (venerdì quell’altro, 8 aprile) piovono sulle nostre scrivanie numeri su numeri. Il Def è lo studio che prepara la cosiddetta Legge di Stabilità di fine anno, quella che un tempo si chiamava Finanziaria e con la quale si deciderà dove spendere, cosa spendere, cosa risparmiare, come e perché. L’interesse del Def sta nel fatto che fa previsioni e, facendo riferimento a queste previsioni, il governo decide quello che deve decidere. Ieri il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, è andato a riferire alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, riunite per l’occasione. Sono nello stesso tempo arrivate certe valutazioni dell’Istat, mentre l’altro giorno hanno parlato il presidente dell’Inps Tito Boeri e il vicedirettore generale di Bankitalia Luigi Federico Signorini, anche lui in audizione in Parlamento. Una massa di numeri (e di dubbi) imponente. Questa selva sarà ulteriormente sbrogliata o avviluppata nei prossimi mesi, dunque non è il caso adesso di trattare la materia o le rispettabili opinioni di chiunque come fossero Vangelo. Citiamo perciò due sole cose. La prima viene da Giorgio Alleva, presidente dell’Istat: nel 2015 risultano in condizione di grave deprivazione 1 milione 340 mila minori, pari al 13% della popolazione con meno di 18 anni. Alleva: «Questa quota, che prima della crisi si attestava a livelli prossimi all’8% e che nel 2012 ha raggiunto il picco del 16,8% è ferma intorno al 13% da tre anni». Sono cifre che non hanno bisogno di commenti.
• La seconda cosa?
Il ministro Padoan ha aperto sulle pensioni, il famoso tema della flessibilità in uscita, vale a dire lasciar libero il cittadino, entro certi limiti e pagando un qualche scotto, di decidere quando ritirarsi. Questa flessibilità eventuale, da varare con una legge che ritocchi in qualche modo la Fornero, costerebbe tra i 5 e i 7 miliardi.
• Spieghi bene.
L’apertura di Padoan parte dalla convinzione che «la ripresa aumenterà e con la ripresa l’occupazione. I conti pubblici migliorano, la pressione fiscale scende grazie a una politica fiscale rigorosa e misure espansive e riforme strutturali che continuano nonostante il peggioramento del quadro internazionale e geopolitico di cui le nostre previsioni tengono conto». Padoan conferma una previsione a cui crediamo in pochi, e cioè che il debito pubblico quest’anno scenderà. In ogni caso, queste buone notizie rendono possibile un’apertura sul tema pensioni. Sentiamo il ministro: «Il sistema pensionistico è uno dei pilastri della nostra sostenibilità che l’Europa ci riconosce. Ci sono margini per ragionare sugli strumenti e sugli incentivi, e sui legami tra sistema pensionistico e mercato del lavoro per migliorare le possibilità in entrata e in uscita».
• Traduzione?
Una questione, sottolineata spesso dal presidente dell’Inps Boeri, è che chi resta al lavoro dopo i 60 o i 65 anni blocca comunque una casella e ritarda lo svecchiamento, cioè l’ingresso nel sistema di giovani. Esiste una correlazione tra pensione e disoccupazione giovanile? Deve esistere, anche se se ne potrebbe dubitare tenendo conto di questo: che non è automatica la sostituzione del lavoratore che va in pensione col lavoratore giovane che comincia. Tutto il mondo ci dice che il progresso tecnologico ha avuto come effetto, e apparentemente sempre più avrà come effetto, una minore domanda di lavoro. Questa considerazione, difficile da confutare, non entra in nessuno dei ragionamenti o dei dati che abbiamo letto.
• È comprensibile. Il Def, se non ho capito male, ragiona intorno a un anno solo, il prossimo. La caduta della domanda di lavoro, se ci sarà davvero, riguarda invece i decenni a venire.
Ci sono calcoli in base ai quali l’Inps salterà per aria intorno al 2030. La faccenda delle pensioni, impossibile da considerare solo sotto il profilo dell’anno 2017, incrocia la questione demografica, sempre più grave. Nel 2030 andranno in pensione i nati nel biennio 1964-1965 (figli del baby boom). Si tratta di un milione di persone. L’Inps, a quanto sostengono alcuni, a quel punto non potrà che dichiarare bancarotta, per via dei troppi vecchi che dovranno sostenersi col contributo di troppo pochi giovani. In due parole, prendendo tre cittadini, ci saranno in quegli anni due vecchi da mantenere per ogni giovane. Fino al 2035 lo sbilancio sarà insopportabile. Poi arriveranno i benefici delle poche nascite della nostra epoca e dei trapassi delle attuali generazioni troppo longeve. Ipotizzando che l’Inps in qualche modo superi il periodo critico 2030-2035, i conti dovrebbero stabilizzarsi tra il 2048 e il 2060.
• Allegria. Quanto spendiamo oggi per le pensioni?
Intorno ai 16-17 punti di Pil ogni anno. Qualcosa che sta tra i 260 e i 280 miliardi di euro.
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