ItaliaOggi, 20 aprile 2016
Due domande a Piercamillo Davigo: una sui processi, l’altra sulla corruzione
Non sono un intervistatore come Stefano Lorenzetto, e mai mi permetterei di scimmiottarlo, facendo una intervista classica a Piercamillo Davigo. Sono due domande personali di un ex manager imprestato al giornalismo, una sul passato, una sul futuro, rivolte, non al Presidente dell’Anm (Associazione Nazionale Magistrati), ma all’alto magistrato.
Alle quali ha prontamente risposto, e di questo gli sono grato.
1 – Ruggeri – Nel nostro mondo ci sono sussurri, per ora senza grida, di un ritorno di Mani Pulite, i più ansiosi si stanno già mettendo sulla difensiva. Sono tornato a quello storico ’92, fino ad allora le Classi Dominanti praticavano un modello, per loro ottimale, per gestire il fenomeno imponente della corruzione, nella quale loro erano coinvolti fin dai tempi di Giolitti. Per costoro, la corruzione, fisica e intellettuale, è parte integrante del loro patrimonio genetico. Il modello in essere era semplice: mano libera alla magistratura per le classi medie e basse, «porto delle nebbie» (locuzione meravigliosa) per le classi alte (lor signori), magistrati ridotti al rango di Prefetti, farli sentire sempre sotto schiaffo, lo schema.
Allora, una nuova generazione di magistrati, specie nelle Procure del Nord, decise di affrancarsi da tromboni fasciati di stinti ermellini; a Milano si formò una «sporca dozzina», ripetuta in altre sedi, e fu Mani Pulite. Politici, imprenditori, supermanager si affidarono a una strategia negazionista basata su due colossali falsi:
a) non era corruzione ma concussione;
b) in ogni caso, i vertici (lor signori) nulla sapevano. I magistrati cercarono di risalire alle responsabilità dei vertici attraverso la catena di comando, ma non fecero molta strada. Malgrado la carcerazione preventiva, a volte usata al limite del lecito, non funzionò, i vertici, unici colpevoli, non andarono in galera. L’opinione pubblica si divise. Si schierarono con i magistrati, quelli che si erano posti una domanda ovvia: «Com’è possibile che un funzionario rubi dei quattrini al suo padrone e, anziché tenerseli, li dia a un funzionario pubblico corrotto, affinché costui faccia arricchire il padrone a sua insaputa?». Altri, in primis politici, confindustriali, intellò, criticarono a sangue, non i corruttori, ma i magistrati, estendendo all’intera categoria gli errori di alcuni. Male fecero i magistrati a non fare autocritica, molti casi, da Tortora a Scaglia, furono micidiali per la loro immagine. Se Mani Pulite tornasse, sia pure in altre forme, come dovrebbe essere affrontata?
Piercamillo Davigo: Dissento radicalmente dal contenuto della domanda, nel senso che non condivido nessuno dei presupposti. L’andamento delle indagini e dei processi dipende in piccola pare da coloro che li conducono ed in larga parte dai soggetti coinvolti. Per abile che sia l’inquirente o per determinato che sia il giudice se i testimoni sono reticenti e gli imputati non collaborano è difficile fare molta strada. Quanto ai magistrati c’era stato un lento miglioramento delle loro capacità, frutto di quello che avevano imparato trattando precedenti vicende di corruzione, ma soprattutto dall’affinamento di tecniche in tema di terrorismo e criminalità organizzata.
Quanto a testimoni e imputati dal 1992 molti di loro ebbero una percezione diversa dei rapporti di forza e molti decisero di collaborare o di fingere di collaborare. Il cuore delle indagini di Mani Pulite a Milano fu la scoperta del sistema di raccolta e distribuzione delle tangenti per la Metropolitana. L’inventore di quel sistema era già stato arrestato nel 1987, ma il presidente del consiglio dei ministri dell’epoca chiese (facendolo sapere ai giornali) un permesso di colloquio con il detenuto motivato con la militanza nello stesso partito e la lunga amicizia.
Un testimone che apprende che il primo ministro è così amico di un detenuto da volergli andare a parlare, penserà che lo Stato è rappresentato dal magistrato che lo interroga o dal detenuto? Se sceglie la seconda ipotesi, concluderà che quel magistrato è una testa calda che qualcuno prima o poi metterà a posto e tacerà. Nel 1992 invece la percezione era diversa: molti imputati si sentirono abbandonati dai loro complici e decisero di parlare. Non ci fu nessun uso illecito della custodia cautelare, tanto che tutti i provvedimenti furono confermati in ogni sede. A fronte di un sistema di corruzione radicato da decenni con una vasta ramificazione di responsabilità era ovvia l’adozione di provvedimenti restrittivi.
La novità fu un’altra: la scarcerazione di coloro che collaboravano sull’assunto che si rendevano inidonei a commettere ancora quei reati. Chi prenderebbe denaro o lo darebbe a coloro o da coloro che una volta arrestati raccontano tutto? Infatti fecero carriera coloro che rimasero in silenzio.
Di strada se ne fece abbastanza: furono processati 4 ex presidenti del consiglio dei ministri, 12 ex ministri, 130 fra deputati e senatori, i vertici delle più importanti società.
Poi il sistema si ricompattò e l’obiettivo primario della politica fu fermare indagini e processi cambiando reati e procedure, azzerando le prove acquisite ed attaccando violentemente i magistrati.
Oggi la corruzione dilagante dovrebbe essere affrontata con le operazioni sotto copertura, cioè utilizzano ufficiali di polizia giudiziaria sotto mentite spoglie che simulino rapporti corruttivi, come si fa in altri Paesi e come si fa in Italia con trafficanti di droga, mafiosi, terroristi e pedofili. Benché queste operazioni siano previste dalle convenzioni internazionali non sono ancora state introdotte in Italia in materia di corruzione. L’autocritica, fatta o non fatta, centra poco. Dei casi da lei citati uno era anteriore di cinque anni a Mani Pulite.
2 – Ruggeri. Corruzione ed evasione sono in aumento, e non può essere diversamente, essendo insite nel modello vincente di questo capitalismo deviato (ha tanti nomi, io lo chiamo ceo capitalism, ci scrivo da tempo). La presenza delle Big Tech che sfidano gli Stati, persino l’Impero Americano, ha delle enormi ricadute sulla legalità, nuovi reati appaiono all’orizzonte. Per questo tipo di scenario, le leggi attuali sono congrue? I magistrati hanno le skill adatte? I consulenti tecnici sono all’altezza? E i modelli organizzativi?
Piercamillo Davigo: In un mondo in cui le frontiere sono diventate evanescenti è possibile lo shopping degli ordinamenti giuridici, sicché coloro che violano la legge (non solo corrotti e corruttori, ma anche mafiosi e terroristi) si muovono agevolmente. I magistrati sono ancora vincolati da procedure di assistenza giudiziaria internazionale (rogatorie) e di estradizione ottocentesche. Se le frontiere rimangono per le guardie ma non per i ladri non c’è partita: vinceranno sempre i ladri. Ci sono timidi tentativi di migliorare la situazione come il mandato di arresto europeo o l’ipotizzato (ma non realizzato) mandato europeo di ricerca della prova. La strada da percorrere è ancora lunghissima, ma credo che ci si arriverà per necessità.
Ruggeri: Non commento certo le risposte di Piercamillo Davigo, ma, come cittadino, timoroso del futuro, non dei miei figli e nuore, ma dei miei nipotini, mi tranquillizzano figure come la sua, eppure resto preoccupato. Comunque la si giudichi, Mani Pulite fece chiarezza, ci fece capire, ciò che sapevamo già ma non osavamo esprimere, lo sintetizzo così: non solo noi del popolino eravamo corrotti (in Italia «molti rubano poco»), ma le élite erano peggio («pochi rubano tanto»). I primi venivano perseguiti, i secondi no. Nel mondo 2.0. la situazione è molto peggiorata, ora ci sono le élite delle élite che si sono fatte Stato, la corruzione ha cambiato natura, pur assumendo nomi diversi, politicamente corretti (uno per tutti: lobbying). Possiamo ancora chiamare corruzione e gestirla come tale ciò che è avvenuto in America recentemente? Il Cce di Apple si rifiuta di ottemperare a un ordine dell’antiterrorismo anti Isis (Fbi), interviene allora a imporlo un giudice federale, nuovo rifiuto, con la risibile motivazione che i clienti valgono più dello Stato. Senza parole, brivido alla schiena.