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 2016  aprile 20 Mercoledì calendario

ROMA NOTTURNA E I CALCIATORI

Zeman lo ha aveva detto poco prima di essere mandato via tre anni fa: «Alla Roma non ci sono regole, ognuno fa quello che vuole». Non che la Roma prendesse, forse, valanghe di gol per questo, ma che non fosse tutta colpa degli allenatori che andavano e venivano si era intuito da qualche decennio. Bisognava ascoltarlo il boemo, soprattutto quando a gennaio sentenziò: «È triste vedere Totti in panchina, è gestito male».
Sarà la primavera, sarà il sole – come sospetta ora Spalletti – saranno le notti senza orario, saranno le belle donne e le discoteche, sarà la città più bella e tentacolare del mondo ma la tentazione a Roma è sempre pronta a bussarti sulla spalla. E può cogliere chiunque, un Totti oggi innocentemente assorto in un giro elettronico di carte la notte prima della partita, o un Francisco Ramon Lojacono, detto Pecos Bill, grandissimo mitico bomber argentino, con un debole per la Dolce Vita romana. Cinquant’anni fa i paparazzi lo coglievano per i locali di via Veneto e lui si faceva fotografare tutto soddisfatto con Claudia Mori, oggi signora Celentano.
Profumo di Roma. Per il calcio Roma è la città del “lasciamo perde”, troppo molle, troppo benevola e aperta ai calciatori, ritenuta in assoluto inadatta a fare calcio e soprattutto a vincere. A meno di non rinchiudere tutti a Castel Sant’Angelo.
Anche se poi la bella vita i calciatori vanno a farla magari a Milano, nei privé dell’Hollywood. «Quello che è successo a Roma, alla Juve non sarebbe mai successo», dice oggi Ottavio Bianchi che era il classico sergente di ferro. E come lui Fabio Capello cui l’aria di Roma non piaceva affatto: una volta disse di aver consigliato De Rossi di «non seguire l’esempio di Cassano e Totti».
Ci sono stati decine di calciatori passati per Roma e risucchiati dal vortice. Renato Portaluppi è l’icona di quel calcio ammaliante ma anche sfatto e decomposto, l’elicottero che lo fa atterrare a Trigoria, la Lamborghini gialla, la birra in mano, una ragazza sempre diversa per recitare fino in fondo il ruolo di calciatore-playboy, per poi essere cacciato via a pedate e dare magari tutta la colpa a Giannini.
Antonio Cassano ha scritto (fece scrivere, meglio) nella sua autobiografia che a Trigoria aveva la chiave di un cancello secondario, da dove faceva entrare le ragazze — «a centinaia…» – con cui si appartava sulle brande dello spogliatoio delle giovanili. A Roma si sfasciano e si schiantano all’alba le Ferrari dei calciatori – Zebina e Candela – dopo una sbandata a 160 all’ora nei viali dell’Eur e si ritira due volte la patente a Bojan. Ma son cose che possono succedere anche a Balotelli a Milano o Manchester o a Vidal nella notte di Torino o di Santiago.
Senza contare che Roma non può aver colpa se i giocatori giallorossi – da Borriello a De Rossi – dopo la partita col Cska si rinchiudono in un privé di un locale notturno a Mosca e sono così furbi da farsi scoprire dai giornali russi. Ma se Nainggolan fa il dj al Gilda dopo la partita mica si nasconde, firma pure autografi.
Roma ha sempre avvolto e travolto i giocatori, ma non necessariamente ha tolto loro qualcosa. Falcao era l’ottavo re di Roma, e la storia della Dama Bionda da cui ebbe un figlio, riconosciuto in via giudiziaria, solo nei primi anni duemila, non tolse nulla al suo portamento regale. Il Divino, la Grande Bellezza del pallone.