La Stampa, 20 aprile 2016
I taleban hanno ricominciato a uccidere: un’autobomba nel centro di Kabul fa 40 morti e 320 feriti
«I taleban hanno ricominciato la stagione del combattimento, l’offensiva di primavera, “Omari”, la chiamano loro, in omaggio al mullah Omar». Sono le sette del mattino, davanti a un tavolo imbandito con croissant e frittelle in omaggio alla visita del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, quando il generale Mauro D’Ubaldi, il capo della base militare di Herat – 1100 soldati in totale, di cui circa 850 italiani – spiega la situazione da quelle parti, i 22 gruppi terroristici attivi, gli annunci dei taleban. Tempo due ore e, mentre il ministro è scortato in elicottero a visitare i minareti di Musalla e a far visita al governatore della regione, una diversione verso la città «civile» che lo fa sospirare di sollievo («da alcune zone dell’Afghanistan ancora si fugge, ma altre cominciano a essere sotto controllo»), la doccia gelata da Kabul: un attacco terroristico, in centro, appena più di un chilometro in linea d’aria dalla green zone, il blindatissimo quartiere delle ambasciate occidentali, inclusa quella italiana, riparate come fortezze medievali da blocchi di cemento, filo spinato, decine di uomini armati.
Doppio attacco
Alle otto e cinquantacinque del mattino, prima un’auto o un camion con un kamikaze a bordo esplode con l’obiettivo di colpire la sede dei servizi di intelligence afgani, poi vengono ingaggiati scontri a fuoco: un doppio attacco, o attacco completo, come si dice in gergo, così violento che all’ambasciata italiana lo avvertono fortissimo: «Ci risiamo», sobbalzano sulle sedie. In serata, mentre ancora il conteggio dei morti rivendicati dai taleban non è definitivo – ma fonti di Kabul danno per certi almeno 40 uomini tra le forze di sicurezza afghane, mentre si parla di 320 feriti – arriva la notizia di un altro scoppio, a tre chilometri e mezzo dalle rappresentanze occidentali, non ancora chiaro se si tratti di un incidente o un altro attacco.
Doveva venire a novembre, il ministro Gentiloni, fu costretto a rinviare dalla strage al Bataclan. Ieri, non fa nemmeno in tempo a congratularsi con i ragazzi della Brigata Aosta che da otto mesi reggono la base di Herat, tra fatica, paura e tentativi di normalità, come la palestra o il coro della chiesa («l’Italia è fiera del lavoro che avete fatto»), che lo spostamento su un aereo militare lo fa atterrare in una capitale più blindata e impaurita del solito. Molte strade chiuse, ancora più controlli del normale, per un paio d’ore resta blindata anche la pista d’atterraggio usata dall’elicottero che dovrà caricare il ministro: nemmeno il breve viaggio dall’aeroporto all’ambasciata si può fare in auto, infatti, troppo pericoloso, meglio volare via armati di elmetto e giubbotto antiproiettile.
«È un atto gravissimo quello di oggi. Ma ho sentito una grande determinazione del presidente Ghani», spera Gentiloni, «noi continueremo a collaborare, ma il protagonismo della lotta al terrorismo è delle forze di sicurezza afgane».
Nuova missione
L’Italia è da quindici anni in Afghanistan, ma da uno e mezzo il Paese si è ripreso piene funzioni di sicurezza e controllo del territorio. «Il nostro impegno è cambiato nel tempo, la missione è cambiata nelle dimensioni e nel ruolo». Ora l’Afghanistan subisce «la minaccia terroristica», ma non più «il tentativo di ribelli di prendere il potere», valuta il ministro: una minaccia però pesante, con uomini bomba pronti a esplodere e tensioni tra le stesse diverse fazioni dei taleban. Cala una sera carica di tensione a Kabul. E stamani Gentiloni dovrà rinunciare alla visita programmata in un ospedale cittadino: molto lontano dalla più sicura green zone, è troppo alto il rischio di attentati.