il Fatto Qutodiano, 20 aprile 2016
Le difficoltà di Mps, quelle di Bankitalia e la difesa di Visco che dà la colpa a Draghi
L’attacco, al netto dei toni felpati richiesti dal ruolo, suona suo malgrado durissimo. Ignazio Visco rivendica di essere stato lui, appena arrivato alla guida della Banca d’Italia, a chiedere agli allora vertici del Monte dei Paschi, Antonio Vigni e Giuseppe Mussari di andarsene. Non altri, e non prima. Il perché lo si scoprirà dopo. Occhio alle date.
Il governatore di via Nazionale si è scelto con cura il momento per lanciare il siluro: ha spedito lunedì il vicedirettore Luigi Federico Signorini a stilare i giudizi sul Documento di economia e finanza e ieri si è presentato in commissione Finanze al Senato, chiamato in audizione nell’indagine conoscitiva sul sistema bancario. Breve premessa: la Vigilanza vive un momento delicato, il disastro di Veneto Banca e soprattutto di Popolare di Vicenza, e lo sgangherato salvataggio delle 4 banche (Etruria, Marche, Ferrara e Chieti) ha terremotato il settore, mettendola sul banco degli imputati.
E poi ci sono le difficoltà di Mps. Ieri, Visco ha difeso l’attività del suo istituto su tutta la linea. Argomenti noti: abbiamo fatto quel che potevamo; dal 2015 possiamo rimuovere gli amministratori ma fino ad allora potevamo solo chiedere alle banche mal gestite il ricambio dei vertici.
E qui veniamo a Siena. La vulgata vuole che siano stati Alessandro Profumo (presidente) el’ad Fabrizio Viola a scoprire il buco nascosto nella gestione dell’ex presidente Mussari il 10 ottobre del 2012, quando trovarono nella cassaforte dell’ex ad Vigni il contratto di Mps con la banca d’affari Nomura sul derivato Alexandria, come rivelato dal Fatto a gennaio 2013. Quel documento rivelava una serie di operazioni per occultare una perdita di 200 milioni nel bilancio 2009. Ma Bankitalia e l’Autorità di Borsa, la Consob, sapevano tutto almeno dal 17 aprile 2012, grazie a una lunga ispezione di via Nazionale. Ieri, Visco ha spiegato in modo netto che fu Bankitalia a scoprire tutto e fu lui, nel novembre 2011 a convocare Vigni e Mussari e chiedergli di togliere il disturbo.
Si noti la data: il governatore è stato nominato proprio il 1° novembre. La prima cosa che fa, quindi, è chiedere ai vertici di Mps di andarsene. “Non avevo potere di farlo, e l’ho fatto quindi correndo un rischio personale”. Quello che non ha corso il suo predecessore, Mario Draghi, che assumerà la presidenza della Bce in quel mese, carica a cui era stato candidato fin dal maggio 2011. Il governatore sembra quindi prendere le distanze dal collega, e con un’espressione irrituale rivendica di essere stato lui – come primo atto – a far scoppiare il bubbone Mps, di cui Draghi, in attesa di nomina alla Bce, sembra non essersi accorto di nulla. Poi rincara la dose rispondendo a una domanda sul perchè l’acquisizione di Antonveneta del 2008, che ha scassato l’istituto, venne fatta senza due diligence: “Non ho alcun imbarazzo (…) dell’operazione io peraltro non avevo alcuna contezza”. C’era, infatti, Draghi. “La due diligence si può fare o no, dipende anche dalla pressione a chiudere”.
Rivendicati i meriti, e allontanate le colpe, Visco passa ai pasticci attuali. Il primo riguarda gli 8,5 miliardi di sofferenze di Etruria & C. passate alla bad bank a 1,5 miliardi, cioè al 17,6% del valore. Che – per Visco – venne comunicato dalla Commissione Ue. Nella lettera al governo con cui la commissaria Ue alla Concorrenza Margrethe Vestager autorizza il tutto, viene invece specificato che il prezzo è stato “proposto” dall’Italia. Ma c’è di più.
Vista la fretta, Bankitalia si è appoggiata a una valutazione “provvisoria”. Venerdì è arrivata quella definitiva dei revisori indipendenti (Bdo, Kpmg e Deloitte): il valore è del 22,3%, spiega Visco serafico. Questo garantisce 400 milioni di nuovo patrimonio alle 4 good bank nate dalle ceneri dei vecchi istituti. Tutto bene? No, perchè – ma Visco non lo spiega – quei soldi vanno giusto a compensare le perdite per le nuove sofferenze nel frattempo emerse nelle nuove banche. Una precisione che la dice lunga sull’arbitrarietà del pasticcio. Fonti qualificate confermano al Fatto che queste verranno cedute alla bad bank: si va dai 500 ai 700 milioni. Ieri, poi, sono stati spediti gli info memorandum agli acquirenti interessati, compaiono anche i 700 milioni di crediti d’imposta (Dta) nati dall’iper-svalutazione iniziale delle sofferenze: verranno garantiti da un decreto del governo solo la prossima settimana, ma Bankitalia ha vidimato i bilanci.
Visco poi assolve via Nazionale sul disastro di Pop Vicenza, scassata dalla ventennale gestione di Gianni Zonin sotto lo sguardo inerme di 3 governatori. Un nervo scoperto della Vigilanza, che sapeva dal 2001 che il prezzo delle azioni – a lungo a 62,5 euro, poi portato nel 2015 a 48 – era gonfiato. Lunedì notte, l’istituto ha svelato la “forchetta” di prezzo per l’imminente aumento di capitale (da 1,75 miliardi) e contestuale quotazione in Borsa: tra 0,10 e 3 euro. Distanza record per queste operazioni, segnale che di investitori non ce ne sono. Così sarà iperdiluitivo e i 117 mila soci, di fatto, perderanno tutto: 5 miliardi in fumo (10 l’eredità di Zonin, secondo i consumatori). È chiaro, ora, il rischio enorme corso da Unicredit, ex garante dell’operazione. Gravame che ha ceduto al salvatore del sistema, il fondo “Atlante”. Il futuro padrone di Vicenza.