la Repubblica, 20 aprile 2016
Sapevate che esistono anche i surfisti cattivi? Hanno una cinquantina d’anni, guadagnano 170mila dollari l’anno e passano il tempo a fare a botte sulle spiagge della California
Nessuno di loro però avrebbe immaginato nel 1961 che quella tavola sulla cresta dell’onda sarebbe diventata l’emblema di uno stile di vita, una filosofia, la chiave d’ingresso in un Giardino dell’Eden. Oggi da Malibu a Santa Barbara, da Santa Cruz al Golden Gate di San Francisco, il surf s’identifica con il Sogno Californiano: la magica tavola galleggiante appare appoggiata ai muri negli open space di Googleplex e Facebook, i giovani cervelli creativi della Silicon Valley quando staccano dal lavoro corrono verso la spiaggia più vicina a sfidare i cavalloni giganti. Ed era inevitabile che nel Giardino s’infilasse il serpente. Un covo di vipere.I surfisti cattivi, come le gang dei biker, si sono impadroniti di un territorio. E guai a chi tenta di penetrare senza essere parte del loro clan. Sempre in cerca di un lato oscuro della fascinosa West Coast, è il New York Times a lanciare l’allarme. In un reportage sui Bay Boys, il quotidiano della Grande Mela racconta come le spiagge dorate sul Pacifico possono trasformarsi in un incubo. Da Redondo Beach a Lunada Bay, la polizia forestale ha accumulato una lunga serie di denunce. Surfisti ingenui, venuti dalle città vicine, sono stati respinti a sassate, hanno avuto le costole rotte a colpi di… surf. Con metodi simili alle gang di spacciatori nelle periferie povere di Los Angeles e Oakland, i surfisti cattivi presidiano un pezzo di oceano, guai a chi osa avventurarsi lì. Con una differenza. I surfisti teppisti sono bianchi e ricchi. Hanno i capelli brizzolati. Borghesi di mezza età, non proprio l’identikit delle vecchie gang di quartiere.“Guerre, violenza, morte e rispetto. Quali gruppi hanno impresso il loro nome sul lato oscuro del surf?”. Attenti alla data del titolo scandalistico. È apparso sul magazine specializzatowww. surfertoday. com. Ma le storie che riferisce sono quelle dei Cito Rats che spadroneggiavano a Montecito nel 1978. O addirittura i “surf nazi” e i “surf punk”, datati anni Sessanta. Poi imitati, con grande ritardo, dai Wolfpak hawaiani nel 2001. Insomma le gang dei surfisti sono antiche quasi quanto questo sport. Convivono con la leggenda magica, coi film-culto comeMercoledì da leoni e Pointbreak, sfornati da Hollywood al ritmo di una decina ogni anno. La ragione per cui oggi le gang rimbalzano in prima pagina sulNew York Times? È la rottura dell’omertà. Finalmente fioccano le denunce e per la prima volta contro le gang spunta l’arma dellaclass action. Le cronache più assidue sono sulle pagine locali del Los Angeles Times, dove l’eroe del momento è un ufficiale di polizia, Cory Spencer. Quando smonta dal suo turno di servizio, Spencer ha la passione del surf. Dopo diverse aggressioni da parte dei Lunada Bay Boys, il poliziotto si è messo alla testa di un gruppo di vittime. Hanno presentato laclass- action con richiesta di indennizzi a un giudice federale. E tra i bersagli della causa giudiziaria hanno aggiunto un intero complesso residenziale, Palos Verdes Estates: è il covo dei ricchi teppisti di mezza età, il santuario dove godono di protezione e omertà. Un posto dove la polizia non è mai andata a fare retate, neppure a bussare alle porte delle ville con vista sul mare, perché troppo rispettabili. Un ricercatore della University of Southern California che ha indagato il fenomeno, Olu Orange, ha pubblicato questo dato: «Quei vandali che assalgono e picchiano per fare surf indisturbati, hanno un reddito medio di 170.000 dollari all’anno».