Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  aprile 20 Mercoledì calendario

Dopo il blocco di Viggiano l’Eni mette in cassa integrazione 350 dipendenti e altri 3mila sono a rischio

Migliaia di lavoratori in cassa integrazione: 354 dipendenti del centro Eni di Viaggiano (su 430) e circa 3.000 delle aziende dell’indotto che, ha comunicato ieri la stessa società energetica, «stanno ricevendo in queste ore le lettere di sospensione contrattuale». Una valanga che potrebbe continuare: «Il rischio – aveva preannunciato nei giorni scorsi l’ad di Eni, Claudio Descalzi – è che il blocco dell’estrazione a Viggiano determini la fermata della raffineria di Taranto», dove lavorano 450 dipendenti diretti e un migliaio di indiretti.A scatenare l’ondata di cassa integrazione è il braccio di ferro che oppone la Procura di Potenza alla società petrolifera. Al punto che la magistratura, nell’ordinanza del 29 marzo scorso, è arrivata a chiedere un cambio nel processo produttivo, ciò che Eni si rifiuta di fare sostenendo che così si lavora in tutto il mondo. Il nodo principale dello scontro è l’utilizzo di due sostanze, la metildietanolammina (Mdea) e il glicole trietilenico Teg, utilizzate per desolforare e disidratare la componente gassosa degli oli estratti dai pozzi prima di incanalarla nella rete dei metanodotti. Mdea e Teg, svolto il loro compito, finiscono nelle acque che vengono reimmesse in falda, a 4.000 metri di profondità. La re-immissione è fatta per mantenere costante la pressione nei giacimenti di petrolio. Le acque da re-immettere arrivano in due grandi vasche del centro oli di Viggiano e da qui vengono pompate in un pozzo di re-iniezione in località Costa Molina. La Procura di Potenza, sulla base delle conclusioni dei suoi periti, ha sequestrato sia le vasche sia il pozzo di re-immissione sostenendo che Mdea e Teg sono sostanze pericolose e che dunque le acque che li contengono devono essere considerate rifiuti pericolosi. Da qui l’accusa di disastro ambientale. I docenti universitari contattati dall’Eni, sostengono al contrario che il Teg «non è incluso nell’elenco delle sostanze pericolose» mentre il Mdea si trova nelle acque reflue in una concentrazione media di 115 mg per litro mentre anche nella versione più restrittiva delle legge sui rifiuti, quella che entrerà in vigore il 1° giugno prossimo, il limite di pericolosità scatta per concentrazioni superiori ai 10.000 mg per litro. La concentrazione nelle acque delle vasche di Viggiano sarebbe dunque 100 volte inferiore al limite di pericolosità. Da qui la decisione dell’Eni di non trattare l’acqua come un rifiuto pericoloso.I passaggi dell’ordinanza del gip sono molto duri: il sequestro dell’impianto, si legge a pagina 867, «è assolutamente necessario almeno fino a quando non verranno adottate da Eni tutte le azioni tese a modificare radicalmente i protocolli fino a oggi seguiti». La magistratura, in sostanza, entra direttamente nel processo produttivo sostenendo che il sequestro proseguirà fino a quando la società non lo modificherà «radicalmente». Ciò che l’Eni si rifiuta di fare sostenendo che «gli additivi utilizzati a Viggiano (i famosi Mdea e Tegn. d. r.) sono dello stesso tipo e nelle stesse concentrazioni di quelli utilizzati negli altri impianti analoghi del mondo» e aggiungendo che «il sistema della re-iniezione è di gran lunga l’opzione preferita nei campi petroliferi» al punto che è applicata non solo in Texas ma anche nell’iperecologista California.Lo scontro promette di proseguire per molto tempo. Con la conseguenza che, bloccata la produzione a Viggiano, le ragioni dell’ambiente entrano automaticamente in conflitto con quelle del lavoro, come già accaduto centinaia di altre volte in Italia. Ieri a Potenza l’Eni ha annunciato ai sindacati i provvedimenti di cassa integrazione. Alle organizzazioni dei lavoratori non è rimasto che prendere atto di una situazione imbarazzante: «Se c’è un problema di salute siamo i primi a spingere perché la magistratura vada fino in fondo», premette Emanuele De Nicola, numero uno della Fiom della Basilicata. Poi però aggiunge: «Chiediamo alla magistratura di fare in fretta gli accertamenti e proponiamo all’Eni di utilizzare questo periodo di fermata per le opere di manutenzione che potrebbero assorbire almeno una parte dei cassintegrati delle aziende dell’indotto». L’Eni, da parte sua, ha chiesto un immediato incidente probatorio per mettere a confronto le analisi dei suoi tecnici con quelle della Procura.