Corriere della Sera, 20 aprile 2016
I dirigenti di Palazzo Chigi, tutti bravissimi, tutti premiatissimi. Possibile?
«Svolta meritocratica nella pubblica amministrazione: i premiati col massimo dei voti calano all’89%». Cosa direbbe Matteo Renzi di un titolo simile? «È una beffa», direbbe. Giusto. Il guaio è che proprio a Palazzo Chigi funziona così: i dirigenti che nel 2014 non hanno avuto il punteggio di 100/centesimi (cento/centesimi!) sono l’11%. Assurdo. E del 2015 non si sa ancora nulla.
Capiamoci: è sempre andata così. Sette anni dopo la riforma del 1999 voluta dal ministro Angelo Piazza che tentava di incoraggiare le eccellenze nel pubblico impiego distribuendo aumenti di merito ai più bravi, il suo successore Luigi Nicolais rivelava a un convegno: su 3769 dirigenti quelli che hanno avuto il massimo dei voti, col premio conseguente, sono 3769. Tutti. Senza un solo somaro, un solo lavativo, un solo assenteista. E l’anno scorso si era saputo che il bonus era finito nel 2013 al 97,7% degli alti dirigenti di Palazzo Chigi: novantasettevirgolasette! Con un premio medio di 13.622 euro, salito in alcuni casi fino a 34.600. Il tutto a dirigenti che già avevano uno stipendio medio (medio) di 203.491 euro lordi.
C’è chi sperava che col cambio di governo l’andazzo dovesse cambiare. Il nuovo premier, infatti, aveva tuonato per mesi: «Quella contro la burocrazia è la madre di tutte le battaglie!». «Serve una violenta lotta contro la burocrazia. Utilizzo l’espressione “violenta” perché non abbiamo alternative». Per non dire delle invettive contro l’appiattimento delle professionalità che spinsero anche il Sole 24 Ore, ad esempio, ad aperture di credito come quella che lo stesso Renzi riprese compiaciuto sul proprio sito: «Premiare il merito. È questa la priorità del programma di Matteo Renzi per far ripartire l’economia italiana». Tesi ribadita più volte: «Il merito è di sinistra, la qualità è di sinistra, il talento è di sinistra. Voglio stare dalla parte dell’uguaglianza non dell’egualitarismo».
Parole d’oro. I risultati, però… Cambiare la «macchina» è una fatica di Sisifo. E lo vedi lì, alla voce «performance» sulla pagina «Amministrazione trasparente» del sito ufficiale presidenza.governo.it. Sei righe: «Valutazione della dirigenza. Anno 2014 (dati Uci). Si riportano di seguito i dati relativi ai processi di valutazione del personale con incarico dirigenziale di prima e di seconda fascia, registrati alla data della loro pubblicazione, ai fini dell’attribuzione della retribuzione di risultato per l’anno 2014. Totale delle strutture della presidenza del Consiglio dei ministri percentuale dei dirigenti con punteggio inferiore a 100/100: circa 11%».
Come sempre: tutti brillantissimi, tutti preparatissimi, tutti volenterosissimi. Come se in un liceo l’89% degli studenti passasse la maturità con 100 centesimi. O alle prove di abilitazione per l’ordine degli avvocati l’89% fosse promosso col massimo dei voti. O l’89% degli aspiranti chirurghi fosse laureato con 110 e lode e bacio accademico e pubblicazione. Possibile?
Altro link da cliccare. Clic. «L’importo lordo medio della retribuzione di risultato conseguibile dai dirigenti di prima fascia e seconda fascia con incarico presso tutte le strutture della presidenza del Consiglio dei ministri, per l’anno 2014, è di € 13.590,40». Avevano stanziato, per questi premi, 4.063.530 euro, ne hanno distribuiti, quasi esclusivamente ai dirigenti apicali e di prima fascia, 4.044.124: il 99,52%. Scava scava, è vero, puoi trovare un po’ tutto. Ma è una trasparenza che richiede pazienza, perseveranza, perizia. Una trasparenza un po’ nebbiosa…
Niente a che vedere, come qualche lettore ricorderà, col rapporto al Congresso sullo staff della Casa Bianca (whitehouse.gov/21stcenturygov/tools/salaries) per quello stesso anno. Dove puoi trovare uno ad uno, con la massima facilità (la vera trasparenza) il nome, il cognome, il ruolo e lo stipendio di tutti i 474 dipendenti del Palazzo della politica più potente del mondo.
Dal meno pagato (stagisti a parte) Garrett Lamm, un analista che prende 41 mila dollari l’anno (poco più di 30mila euro) a quella più «lussuosamente» trattata, Anita Decker Breckenridge. La quale, come braccio destro da anni di Barack Obama, aveva in quel 2014 una busta paga di 173.922 dollari. Pari, col cambio medio di quell’anno, a circa 145 mila euro. Molto meno del meno pagato dei dirigenti di Palazzo Chigi, che due anni fa prendeva 197.262 euro e 57 centesimi. E parliamo della più pagata.
Ma come denunciano tre interrogazioni parlamentari presentate da Riccardo Nuti, l’ultima nell’ottobre scorso, è il meccanismo stesso dei premi che non funziona e così com’è non può funzionare. Esempio? «Non risulta che la presidenza del Consiglio dei ministri abbia mai pubblicato sul proprio sito istituzionale, in apposita sezione di facile accesso e consultazione denominata “Trasparenza, valutazione e merito”, le relazioni che evidenzino a consuntivo i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati e alle risorse».
Peggio: se la valutazione dei risultati raggiunti per poter distribuire i premi dipende dagli obiettivi che erano stati fissati (per capirci: l’ufficio tappi di sughero deve produrre in tot tempo tot tappi di sughero) com’è possibile che questi obiettivi annuali non vengano decisi prima come in ogni azienda ma sempre con enormi ritardi? Nel 2015, per dire, è successo a luglio. Nel 2014 peggio ancora: «La direttiva del segretario generale della presidenza del Consiglio risulta essere emanata in data 30 settembre 2014 e registrata alla Corte dei conti in data 4 novembre 2014, quando mancavano sole poche settimane al termine dell’anno, e quindi al raggiungimento degli obiettivi».
Tema: è ingiustamente malizioso sospettare che anche questi ritardi siano in realtà funzionali, sotto sotto, ad alzare una cortina fumogena intorno a quei premi di produttività che tanti anni dopo la riforma del lontano 1999 non vengono ancora distribuiti, perché questo è ormai plateale, nel modo giusto e cioè a chi se lo merita davvero?