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 2016  aprile 20 Mercoledì calendario

UNA NOTTE AL MUSEO

Sono in pigiama a righe in mezzo al Colosseo. Sulle gradinate, la folla urla. Da una porta entrano nell’arena Matteo Renzi vestito da gladiatore con una fiocina in mano e Barack Obama con una criniera da leone. Nella tribuna centrale mia moglie Vanessa, anche lei in pigiama ma a quadrettini, fa il gesto del pollice verso: sono fottuto. Il gladiatore Renzi scaglia la sua fiocina e mi traffigge. Apro gli occhi e una luce fortissima mi abbaglia: è l’aldilà. Mi guardo attorno, sono sdraiato su un letto in una enorme stanza vuota: allora sono morto davvero, questo è l’obitorio. Mi alzo barcollante e vedo, in un angolo lontano, un altro letto. Mi avvicino e lì distesa c’è Vanessa. Morta anche lei? Macché: apre gli occhi e urla, spaventata. Allora mi sveglio davvero, ricordo tutto e tiro un sospiro di sollievo: era solo un sogno.
Siamo al Pirelli HangarBicocca. I letti sono un’opera dell’artista contemporaneo tedesco Carsten Höller, e così pure le luci stroboscopiche abbaglianti. Vanessa e io siamo venuti a passare una romantica notte dentro la sua mostra. Un’esperienza di arte a cinque stelle che tutti possono fare: basta prenotare la camera ardente da 500 metri quadrati e pagare 500 euro, colazione e dentifricio inclusi. Il dentifricio, direte voi, ce lo portiamo da soli. Eh no! Il dentifricio fa parte dell’esperienza artistico-onirica: pare contenga sostanze che facilitano i sogni.
I sogni li facilitano anche i due letti, un’opera creata da Höller nel 2015 con il nome Two Roaming Beds (Grey). Ovvero «letti vaganti» perché, benché altrettanto comodi, non sono letti normali bensì robotizzati, in modo da muoversi per tutta la notte. Quando ce lo hanno detto, Vanessa e io abbiamo pensato che non avremmo chiuso occhio e invece abbiamo dormito come neonati nelle culle. Certo, l’esperienza è sconcertante, perché quando apri gli occhi non capisci mai dove si è: una volta vedi le luci della mostra, un’altra una parete di cemento, un’altra ancora le porte di un’uscita di emergenza.
Ma facciamo un passo indietro e torniamo al check in. Si arriva verso le otto e mezzo di sera e si va al banco accettazione, dove una gentile signorina ci accoglie come in ogni albergo che si rispetti. Consegniamo i documenti, non la carta di credito: si fidano, e poi il minibar non c’è. Ci viene data una scatolina a testa: dentro, tre tubetti di dentifricio di sapori diversi ma tutti ugualmente disgustosi, assieme a un tubetto più grande che è l’attivatore di sogni. Prendiamo nota del cellulare del responsabile sicurezza, Cosimo, che sorveglierà lo spazio tutta la notte: non si sa mai.
Carsten Höller è un artista sadico: ogni sua opera mette a prova le nostre debolezze. Io, per esempio, sono claustrofobico. Entrare nella mostra attraverso un tunnel-labirinto completamente buio mi provoca una crisi isterica. A metà del percorso cedo alla tentazione, baro e accendo la luce del cellulare. Vanessa, più furba di me, è entrata da una porta laterale, evitando il tunnel. In compenso ha la fobia dei pesci, quindi dover infilare la testa in un acquario – altra opera del nostro – la mette in uno stato di terrore totale.
Due grandi schermi proiettano concerti rock in Congo: con questo baccano, siamo certi che non ci sentiremo soli. Altrettanto certi, prima di coricarci, vogliamo essere della posizione dei bagni. Per arrivarci si passa accanto ai Sette palazzi celesti di Anselm Kiefer, opera permanente dell’Hangar, bellissima ma rassicurante più o meno quanto la residenza estiva di Bin Laden. La sensazione di essere più nell’aldilà che nell’aldiquà è abbastanza marcata.
Ci laviamo i denti con i dentifrici in dotazione, indossiamo i pigiami e torniamo in «camera», dove le luci accecanti ci costringono a coprirci gli occhi. Ci infiliamo sotto le coperte e tentiamo di fare due chiacchiere prima di addormentarci, ma i letti, come vascelli nell’oceano, sono già partiti e lontani. Dobbiamo urlare, e con l’eco non si capisce nulla. Sarà il dentifricio o saranno le pasticche di Somnapure che abbiamo preso a scanso di equivoci, il sonno prende il sopravvento. Ci svegliamo in piena notte per una certa necessità fisica. Mano nella mano, camminiamo attraverso la mostra, accanto a giostre illuminate che si muovono lentamente, come Dante e Beatrice che passeggiano in Paradiso.
Torniamo a letto, ci riaddormentiamo, mi sveglio alle sette del mattino, dopo il bizzarro incubo nel Colosseo. Per quanto apprezzi le esperienze artistiche, sono felice che questa in particolare sia terminata senza danni fisici né mentali. Vanessa vorrebbe dormire ancora un po’, le chiedo se il dentifricio per caso l’ha fatta impazzire, e la costringo ad alzarsi.
Nella caffetteria dell’Hangar, come promesso dall’agenzia di viaggi nazista, ci aspetta un sontuoso breakfast degno di un albergo tirolese: apprezziamo, ma non approfittiamo. Rientrando a Milano in auto ci sentiamo come sopravvissuti, e la grigia città sembra bellissima. Lo scorso anno sono stato al Polo Sud, quest’anno ho dormito nella suite di Carsten Höller. Due avventure diversamente incredibili. Alla domanda «Le rifaresti?», rispondo educatamente «No, grazie», ma vorrei dire «Col c....!».