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 2016  aprile 20 Mercoledì calendario

Il ritorno del prestito previdenziale per gli over 55

Conti alla mano fino ad oggi tutti i progetti sulla flessibilità in uscita si sono infranti sullo scoglio dei costi e dei vincoli di bilancio. E questo vale sia per la soluzione messa a punto dal presidente della commissione Lavoro Cesare Damiano, sia per la proposta dal presidente dell’Inps Tito Boeri, che prevedono penalizzazioni del 2/3% annuo per ogni anno di anticipo rispetto ai requisiti di legge. Costi troppo alti, nell’ordine di 5-7 miliardi di euro, che richiederebbero decenni prima di essere riassorbiti. Secondo Damiano i risparmi si otterrebbero più in là nel tempo sarebbero anche maggiori dei costi immediati, ma per ora questa strada si è rivelata impraticabile. Bisognerebbe convincere la Ue della bontà del progetto, ingaggiare una battaglia, come insiste da settimane Boeri. Facile a dirsi, più difficile a farsi.
Il nodo dei costi
Al Tesoro ne sono ben coscienti. Tant’è che ancora ieri Padoan, riprendendo concetti noti, ha ribadito che il sistema pensionistico «è uno dei pilastri di sostenibilità del sistema italiano e questo ci viene riconosciuto in sede europea». Tradotto: scordatevi che Bruxelles ci possa autorizzare un intervento che scardina la riforma Fornero. Anche per questo, per ora, il tema della flessibilità in uscita è poco più che un titolo nell’agenda di governo. Nel Programma nazionale di riforma si dice solo che l’esecutivo intende «valutare la fattibilità» di eventuali interventi, ovviamente «salvaguardando la sostenibilità finanziaria e il corretto equilibrio nei rapporti tra generazioni».
Ieri il ministro dell’Economia incontrando deputati e senatori delle commissioni Bilancio ha però fatto un piccolo passo in avanti aprendo «a forme di finanziamento complementare», e dicendosi disponibile «a ragionare sia sugli strumenti che sugli incentivi e sui legami tra sistema pensionistico e mercato del lavoro», senza escludere «un possibile ruolo del sistema creditizio». La questione sul tavolo è quella del prestito previdenziale, già studiato ai tempi del governo Letta e poi ripreso dal ministro del Lavoro Poletti e fino ad oggi rimasto in stand-bye. Carlo Dell’Aringa, autore del primo progetto ed oggi deputato Pd, non esclude «che oggi Bruxelles possa avere da ridire sul ruolo delle banche», ma giudica «importante l’apertura di Padoan».
Il prestito-ponte
L’idea, già tradotta da tempo in due progetti di legge depositati dal Pd in Parlamento, prevede che si possa andare in pensione con 3 anni di anticipo ed un assegno mensile di circa 850 euro grazie ad un prestito-ponte da restituire poi a rate in 20 anni una volta maturati i requisiti pieni per andare in quiescenza. E in questo quadro il ruolo delle banche sarebbe fondamentale per non far gravare sull’Inps (ovvero sul debito pubblico) tutta l’operazione. «Noi – spiega il senatore Pd Carlo Santini – abbiamo immaginato questa soluzione per affrontare innanzitutto il problema dei disoccupati involontari di lunga durata over 55 e stimiamo che un’operazione del genere costi qualche centinaio di milioni». È chiaro che se la si volesse estendere all’intera platea, anche allo scopo di agevolare il ricambio anziani-giovani, i costi salirebbero molto. Secondo Marialuisa Gnecchi, deputata Pd della commissione Lavoro, quando si ragiona di flessibilità i costi non sono un problema insormontabile: «Con le ultime riforme – sostiene – di qui al 2050 risparmieremo ben 60 punti di Pil, ovvero 900 miliardi di euro, e non credo che sia un grosso problema spalmarli al 2080».
Il «sogno» della staffetta
Questione di soldi anche per rafforzare un altro strumento messo in campo solo da pochi giorni dal governo, ovvero il part-time agevolato, che consente ai lavoratori del settore privato di lavorare metà tempo negli ultimi 3 anni prima della pensione senza subire grandi penalizzazioni di stipendio. Per ora, infatti, questo meccanismo esclude tutto il pubblico impiego e soprattutto è finanziato con appena 240 milioni in 3 anni. In pratica al massimo ne possono beneficiare in 30 mila. Troppo poco per innescare quella staffetta generazionale di cui tanto si parla da tempo (e tra l’altro gli incentivi non prevedono obblighi di assunzione) per alleggerire davvero la disoccupazione giovanile che viaggia sempre attorno al 40%.