
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La battaglia sulle pensioni è strumentale come tutte quelle che si combattono in questo momento (petrolio, trivelle) e che hanno un unico, vero obiettivo: buttare giù Renzi. La quantità di bugie che circondano la questione delle pensioni è, tuttavia, particolarmente impressionante.
• I sindacati sono scesi in piazza sabato.
Le solite manifestazioni sparpagliate tra le varie città per nascondere la pochezza delle adesioni. Trucco che le tre sigle adottano ormai da anni. Inoltre più del 60% degli iscritti a Cgil, Cisl e Uil sono pensionati e dunque è obbligatorio per Camusso Furlan e Barbagallo battere dei colpi su questo argomento. È un effetto dell’assenza sostanziale del sindacato dal mondo produttivo reale. Ma la ragione per cui ci occupiamo di pensioni oggi non è la scesa in campo del sindacato.
• E qual è?
S’è saputo ieri che mezzo milione di pensionati italiani prendono l’assegno da prima del 1980. Cioè si sono ritirati più di 36 anni fa. Significa che hanno smesso di lavorare (o almeno: di fare «quel» lavoro) quando stavano fra i 30 e i 35 anni. L’indignazione generale, veicolata ieri dalle agenzie e dai siti, dovrebbe far riflettere su due cose almeno: il tanto rimpianto tempo della prima repubblica ha prodotto guasti che non finiamo di dover sanare. Era già l’epoca in cui i voti si compravano senza badare a spese, tanto ci avrebbe pensato l’inflazione a rimettere le cose a posto, oppure, più tardi, l’indebitamento. Seconda considerazione: per un lungo periodo della nostra storia l’entità delle pensioni è stata calcolata col metodo cosiddetto «retributivo», cioè ti riconoscevo un certo assegno non in base ai contributi che avevi versato, ma in base agli ultimi stipendi che avevi percepito. La Fornero, che oggi Salvini attacca - piuttosto teppisticamente - sul piano personale, andandogli a manifestare sotto casa sua a San Carlo Canavese (una buffonata, in casa non c’era nessuno), impose non solo l’innalzamento inevitabile dell’età pensionabile ma anche il passaggio dal retributivo al contributivo, cioè ti dò una pensione commisurata ai contributi che hai effettivamente versati. Se volessi continuare col retributivo, dovrei caricare una parte cospicua degli assegni, incassati magari a partire dai 55 anni, sulla fiscalità generale, cioè su ognuno di noi. Iniquo e probito dall’Europa.
• C’è la questione degli esodati.
Senta, mettiamo a posto un po’ di numeri. L’altro giorno i sindacati chiedevano la flessibilità, cioè la possibilità per ognuno di andarsene in pensione quando vuole senza rimetterci, col limite magari dei 62 anni di età. Si favoleggia di masse costrette a salire sulle impalcature a 70 anni per colpa della ex ministra di Monti e non per via dei datori di lavoro che si sono intascati i contributi senza versarli. Ora, sull’età in cui ci si ritira davvero basteranno gli ultimi dati Inps: nel 2015 sono state erogate 92.528 nuove pensioni (+72,8% rispetto al 2014) a persone mediamente di 60,6 anni. Nel 2010 l’età media era stata di 59,1. Alla grossa significa che la riforma Fornero ha innalzato l’età pensionabile con la gradualità giusta. L’età pensionabile, ricordo, non può non essere innalzata: la nostra vita media si allunga di continuo, e i parametri vanno adattati ai tempi. Poi ci sono gli esodati, cioè persone che hanno smesso di lavorare e non incassano ancora la pensione. I vari governi, con sette interventi complessivi, hanno provveduto a salvare finora 196.530 uomini e donne, per un esborso di 11,4 miliardi in 5 anni. Nel 2015 gli esodati sono stati 26.300, cioè il numero va progressivamente scemando e il termine «esodati» serve ormai solo alla polemica politica. Sul piatto della bilancia bisogna poi mettere i risparmi che la riforma Fornero ha permesso: 30 miliardi l’anno per 15 anni. Sono numeri della Corte dei Conti. Nel 2011, quando la ministra in lacrime intervenne, eravamo prossimi alla bancarotta stile Grecia.
• E la storia che due pensionati su tre incassano un assegno inferiore ai 750 euro?
Modo mendace di dire la verità, come ha ammesso anche ieri il presidente dell’Inps, Tito Boeri. Tra assegni diretti, reversibilità, invalidità e integrazioni ogni pensionato incassa in media una pensione e mezza, per un importo di 1.400 euro. Non è la ricchezza, ma neanche la miseria.
• Il problema è che andare in pensione tardi contribuisce a tener lontani i giovani dal mondo del lavoro.
Questo è vero, ed è un problema. Ieri il sottosegretario Baretta ha annunciato che nella prossima Legge di Stabilità ci saranno norme per rendere possibile la flessibilità in uscita attraverso il prestito previdenziale. Se ti mancano cinque anni alla pensione e non hai lavoro, ti faccio un prestito (750 euro per 13 mesi) che per due terzi restituirai a rate piccolissime quando avrai raggiunto l’età per l’assegno. Dell’altro terzo si farà carico lo Stato. Bisognerà, naturalmente, far sembrare questa cosa, già contenuta in una proposta di legge del Pd, come un grande successo del sindacato.
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