Rebecca Carlino, MilanoFinanza 4/4/2016, 4 aprile 2016
PER CHI VOTA WALL STREET
A Wall Street l’indice S&P 500 è passato in questi ultimi otto anni dai 683 punti del 6 marzo 2009 agli attuali 2.100 punti, un livello ben al di sopra dei 1.500 punti toccati nei due record precedenti a ottobre del 2000 e del 2007. Arrivati a questo punto, gli investitori sono particolarmente sensibili a ogni notizia in arrivo in questa fase di coda di un lungo ciclo di rialzo. L’attenzione è concentrata soprattutto sulle scelte che gli elettori faranno nei prossimi mesi in entrambe le sponde dell’Atlantico. Dal referendum sulla Brexit in UK alle elezioni in Spagna, fino alla sfida per la Casa Bianca nelle presidenziali statunitensi dell’autunno 2016.
Mark Haefele, global chief investment officer wealth management di Ubs, ricorda che oggi la maggioranza degli elettori americani disapprova entrambi i candidati. E allo stesso modo gli investitori sembrano essere scontenti di tutte le asset class, azioni, bond o cash. Haefele sottolinea che gli eventi politici continueranno a portare incertezza e volatilità. Il referendum inglese impatterà sui mercati europei, le elezioni Usa si avvicinano, mentre Spagna e Brasile sono ancora in una fase di stallo. Nel frattempo il sentiment dei risparmiatori è stato adombrato dagli utili deboli negli Usa, in Europa e in Giappone e dalla lentezza dei Paesi emergenti. Come risultato di questa combinazione, tra rischi politici e delusione sugli utili, resta forte l’avversione al rischio. D’altronde gli scenari aperti possono avere esiti diversi tra loro.
Proprio in questa prospettiva Joe Prendergast, head of financial market analysis di Credit Suisse, ha fatto una prima valutazione degli scenari elettorali e politici più probabili e del loro potenziale impatto sui mercati. Lo studio di Credit Suisse ricorda che il primo anno del primo mandato di un nuovo presidente è stato in passato tendenzialmente un anno di debolezza per i mercati azionari, soprattutto nel caso di un cambio di guardia tra i due partiti. «Al di là di questa caratteristica ricorrente, il resto variava molto in funzione dello stato dell’economia e della politica. Quest’anno, vista l’estrema polarizzazione dei due fronti politici su alcuni temi, l’impatto del cambio di presidenza potrebbe essere nettamente maggiore del solito», afferma Prendergast.
La ricerca ricorda che le aspettative sull’esito delle elezioni presidenziali del 2016 sono fortemente asimmetriche. Iowa Electronic Markets (Iem) exchange ha attribuito alla vittoria della candidata democratica una probabilità del 60–70% a gennaio (attualmente del 66%). La prospettiva che Donald Trump sia il candidato repubblicano non ha modificato di molto questa probabilità ma, a oltre cinque mesi di distanza dalle elezioni, permangono molte incertezze. A pesare sarà anche il risultato ottenuto dai due partiti alla Camera e al Senato. E se finora l’esito più probabile per il Congresso è quello di una Camera repubblicana e di un Senato democratico, restano aperte anche le altre possibilità. Per quanto riguarda la strada verso una vittoria di Trump alle presidenziali lo studio ricorda che appare tutta in salita, viste le valutazioni storicamente sfavorevoli e ostacoli tecnici, ma uno scenario vittorioso per Trump vedrebbe anche tutto il Congresso a maggioranza repubblicana, alla luce della crescente rinuncia al voto disgiunto e alla presenza attuale di una maggioranza repubblicana in entrambe le camere. Sottolinea Prendergast: «La reazione del partito repubblicano a una eventuale terza sconfitta consecutiva avrà certamente ripercussioni sul quadro politico. Se il partito repubblicano dovesse subire una riforma significativa, con un riconoscimento implicito che l’ostruzionismo si è dimostrato impopolare tra gli elettori, una percentuale superiore delle priorità politiche di Clinton (ma non tutte) riuscirebbe ad ottenere l’approvazione del Congresso». Da qui la possibilità di vedere come reagiranno i mercati nei tre diversi ipotetici scenari.
Lo studio ricorda che lo scenario più probabile è quello di una vittoria della Clinton, ma con una Camera repubblicana, che rappresenterebbe la continuità e pochi cambiamenti politici. Il Congresso tollererebbe qualche cambiamento sul fronte della spesa pubblica, con una lieve espansione fiscale, ma sarebbe difficile trovare un accordo per grandi progetti infrastrutturali. Una netta vittoria elettorale dei democratici anche al Congresso è meno probabile, ma la possibilità di una Camera repubblicana più accondiscendente rende questo scenario più probabile. Le spese per infrastrutture aumenterebbero. Mentre una vittoria di Trump sarebbe uno shock per i mercati e, nel breve termine, provocherebbe un esito probabilmente negativo. Tuttavia, vista l’influenza di Trump sul partito e le molte promesse che sarà difficile rispettare, è probabile che il programma politico venga fortemente influenzato dall’attuale ortodossia repubblicana.
Sottolinea Prendergast: «In tutti e tre questi scenari la politica fiscale sembra destinata a espandersi, soprattutto attraverso un accordo sulle spese infrastrutturali, mentre le politiche in materia di sanità, immigrazione e cambiamenti climatici rischiano di variare nettamente».
La prima ipotesi è quella di una vittoria di Clinton con una Camera a maggioranza repubblicana. Secondo Credit Suisse in un primo momento le azioni beneficerebbero della continuità politica, di una lieve espansione fiscale e di pochi attriti commerciali. I mercati azionari hanno registrato performance sorprendentemente forti in passate situazioni di coabitazione con un Congresso all’opposizione o in parità. I rendimenti obbligazionari aumenterebbero lentamente, mentre proseguirebbe verosimilmente il modesto rialzo dei tassi da parte della Fed. Intanto il dollaro rimbalzerebbe tra elezioni e insediamento, assestandosi a livelli più elevati man mano che i tassi salirebbero.
Nel caso di vittoria di Clinton e di una Camera collaborativa, in una prima fase i mercati rimbalzerebbero per la fine delle incertezze e la prospettiva di un’espansione fiscale, mentre i rendimenti obbligazionari aumenterebbero in modo relativamente veloce poiché aumenterebbero la spesa sociale e gli investimenti infrastrutturali, stimolando la crescita. Infine per il dollaro è previsto un rimbalzo tra le elezioni e il varo del governo, con una tendenza rialzista con l’aumentare dei tassi.
Nell’ipotesi di vittoria di Trump e un Congresso repubblicano, l’incertezza politica indebolirebbe le azioni nel breve termine, ma la politica fiscale espansiva e l’impatto moderatore del Congresso potrebbero fornire sostegno nel medio termine. L’aumento delle tensioni commerciali rappresenterebbe un rischio importante per le azioni globali. I rendimenti obbligazionari sarebbero più bassi in questo scenario prima di aumentare tendenzialmente nel medio periodo. Infine, questa ipotesi vede una forte debolezza del dollaro poiché l’attenzione alle tensioni commerciali spingerebbe al rialzo soprattutto le valute dei Paesi con forti eccedenze.
Haefele di Ubs ricorda che mentre gli investitori si devono adattare a un mondo con una crescita per ora più lenta dell’economia, restano però zone di resilienza che possono supportare alcune asset class. In particolare, secondo Haefele, i venti contrari per gli utili dello società statunitensi stanno cambiando direzione ora che è scesa la pressione del dollaro forte e dei deboli prezzi del petrolio. Da qui la scelta di sovrappesare le azioni Usa in portafoglio. «Il dollaro si è indebolito da inizio anno e il petrolio è risalito dai minimi, ora ci aspettiamo una ripresa degli utili americani con una crescita del 3% per il 2016 e del 7% per l’anno prossimo», afferma Haefele, che ricorda come le azioni di solito beneficino di un recupero del ritmo di crescita degli utili. Inoltre un supporto potrà arrivare anche dai buyback. Ubs calcola che dal 2011 le società dell’S&P 500 hanno restituito circa il 40% degli utili agli azionisti tramite i buyback, operazioni che hanno contribuito a una crescita degli utili per azione dell’1-1,5% all’anno. Questo dovrebbe essere vero anche per il 2016. E dal punto di vista delle valutazioni, «se le azioni non sono economiche sulla base del rapporto p/e, appaiono attraenti se comparate a quando rendono i titoli di Stato Usa», conclude Haefele.
Riguardo ai settori Suzanne Hutchins, gestore del fondo multi-asset BNY Mellon Global Real Return, spiega che alcuni titoli che nei due mesi passati non avevano avuto buone performance potrebbero offrire opportunità interessanti nei mesi a venire, perché in alcuni casi i loro fondamentali sono solidi e si sono ritrovati coinvolti in maniera indiscriminata nelle difficoltà dei settori di riferimento. «Pensiamo soprattutto ad alcune aziende farmaceutiche, penalizzate ingiustamente dagli investitori a causa dei timori sull’Obama Care e sulle elezioni presidenziali Usa», afferma Hutchins. (riproduzione riservata)