4 aprile 2016
In morte di Gato Barbieri
Andrea Laffranchi per il Corriere della Sera
Il suo sassofono aveva portato un’anima latina nel jazz. È morto sabato a New York Gato Barbieri, il musicista argentino che era diventato una star grazie al successo della colonna sonora di Ultimo Tango a Parigi. il suo ruolo è stato ben riassunto dalla motivazione con cui lo scorso anno gli era stato assegnato un Latin Grammy alla carriera: «Ha creato uno stile musicale ribelle ma estremamente accessibile, combinando il jazz contemporaneo con i generi latino americani e incorporando elementi di pop strumentale».
Aveva 83 anni e la causa della morte, ha reso noto la moglie Laura, sono state le complicazioni di una polmonite. «La musica era qualcosa di profondo per Gato, e ogni volta che suonava era una nuova esperienza per lui e lui voleva che fosse lo stesso per il pubblico», ha detto la donna.
Il suo vero nome era Leandro, Gato gli era stato appiccicato all’inizio della carriera a Buenos Aires, per la rapidità con la quale riusciva a spostarsi nella notte da un club all’altro. Barbieri era nato a Rosario nel 1932, a 12 anni aveva iniziato a suonare clarinetto, e una volta trasferitosi nella capitale argentina aveva scoperto il sax.
Divenuto famoso in patria prese a girare il mondo e all’inizio degli anni Sessanta, dopo aver sposato una donna italiana, Barbieri visse anche a Roma. Così raccontava la nascita della sua amicizia con Bernardo Bertolucci. «Partecipai alle audizioni per Prima della rivoluzione. Non ebbi quel ruolo, sembravo troppo giovane per un quarantenne, ma diventammo amici e mi chiese di contribuire ad un paio di canzoni della colonna sonora. Ci vedevamo con Elsa Morante, Pierpaolo Pasolini e altri. Andavamo spesso in un ristorante a Trastevere. È stato un momento speciale, di unione: in quegli anni gli artisti erano molto più aperti».
Arrivò quindi la proposta di scrivere le musiche di Ultimo Tango a Parigi, con la quale vinse un Grammy e arrivò alla popolarità internazionale: «Voleva una colonna sonora fra quelle dei film di Hitchcock e una musica più europea e classica. Quel film fu uno choc. Alla prima, negli Usa, tutti uscirono in silenzio», ricordava il sassofonista.
Le sue frequentazioni italiano lo avevano portato a collaborare con Gino Paoli per l’assolo su Sapore di sale, Pino Daniele e Antonello Venditti. «Con lui se ne va una parte essenziale della mia e della musica mondiale. Sono orgoglioso di averlo avuto al mio fianco e di aver avuto il privilegio di suonare insieme a lui. Ha rappresentato col suo urlo di sax tutta la sua e la mia anima ribelle e rivoluzionaria in un mondo che ha smesso di urlare», ha postato su Facebook Venditti per cui Barbieri suonò in Modena del 1979, in un tour nel 1993 e ancora in studio nel 2003 (Che fantastica storia è la vita) e 2007 (Piove su Roma).
Gato si riconosce per il tono caldo del suo sax tenore e per quel Borsalino nero sempre calato in testa. La sua carriera aveva attraversato stili e periodi. Partito dai suoni latini, si era lasciato conquistare dal free jazz negli anni Sessanta per tornare alle sue radici latine all’inizio dei Settanta e scoprire il pop verso la fine del decennio e collaborare anche con Carlos Santana. Nei Novanta era stato lontano dalla musica a causa di tre bypass e della morte della moglie. Nonostante i problemi di salute la sua carriera non si era fermata e, almeno sino allo scorso novembre, aveva suonato una volta al mese al leggendario Blue Note di New York.
Il suono del sassofono del “Gatto” sapeva graffiare l’anima, segnava il cuore. Si è spento nella notte tra sabato e domenica a New York, il sassofonista argentino Gato Barbieri. Aveva 83 anni. Il suono del suo sassofono conteneva tutti i suoni del mondo ed era solo suo. Non era soltanto inconfondibile ma racchiudeva un’idea di musica straordinariamente completa, assoluta, fatta di jazz, pop, musica latina, radici africane, un suono comprensibile, naturale, fisico, solido ma in grado di far sognare e piangere.
Quella che Gato Barbieri ha creato nella sua lunga avventura è stata musica popolare e sofisticata al tempo stesso, in grado di muovere il corpo e far battere il cuore, profondamente radicata nel continente latinoamericano ma aperta a contaminazioni di ogni genere. Jazz, innanzitutto «ma in un altro modo », come amava dire lui , perché era in grado di suonare di tutto, dal free allo “smooth jazz”, dalla canzone al bop, ma sempre con il suo inconfondibile tono rauco e passionale. Il suo approccio alla musica, del resto, era fatto di passione, immediatezza romantica, oltre che di intelligenza melodica: «Quando suono il sassofono suono la vita, l’amore, suono la rabbia, la confusione. Io suono quando la gente urla».
Barbieri, nato a Rosario in Argentina nel 1932, un padre appassionato di violino, gli studi di musica a Buenos Aires, aveva iniziato a incidere dischi all’alba degli anni Sessanta e aveva, da subito, stabilito un rapporto particolare con l’Italia, paese nel quale ha vissuto e ha collaborato con moltissimi musicisti, sia nel jazz, primo fra tutti Giorgio Gaslini, sia nel pop con Antonello Venditti (leggendario il suo assolo in Modena),
Pino Daniele, Gino Paoli e Ennio Morricone (suo il sax di
Sapore di sale), con molti registi e musicisti di cinema (con Piero Umiliani aveva lavorato alle musiche di Una bella grinta di Giuliano Montaldo, 1964), fino alla collaborazione con Bertolucci per la colonna sonora di Ultimo tango a Parigi.
Gli album degli anni Sessanta a suo nome e con Don Cherry, Dollar Brand, la Liberation Music Orchestra di Charlie Haden e la Jazz Composer’s Orchestra lo portarono nell’elite del jazz, mentre le sue registrazioni degli anni Settanta, soprattutto i “capitoli” intitolati Latino America, Hasta siempre, Viva Emiliano Zapata lo portarono alla meritata fama internazionale, facendogli conquistare un pubblico enorme e il seguito fedele di molti giovani.
Dalla metà degli anni Ottanta si era sostanzialmente ritirato dalle scene, a causa della morte della prima moglie e di una crisi cardiaca, per tornare con rinnovato entusiasmo dalla fine degli anni Novanta a calcare le scene e produrre album sempre di eccellente livello, vincendo un Grammy Latino lo scorso novembre in onore della sua straordinaria carriera.
Gli Anni Dieci si stanno portando via uno a uno gli eroi della musica del 900. Ricoverato in ospedale a New York per una polmonite, il 2 aprile ha lasciato questo mondo a 83 anni Leandro «Gato» Barbieri, da tutti conosciuto soprattutto perché suo era quello snervato, disperato eppure composto Ultimo tango a Parigi, nel film del quale Bertolucci gli aveva affidato nel 1972 la colonna sonora. Definì quell’esperienza «un matrimonio fra il film e la musica», ne ebbe un Grammy e la gloria.
Ma a quell’epoca il suo sax tenore aveva già colpito molte immaginazioni. Da Buenos Aires dov’era nato, figlio di un carpentiere appassionato di violino, e dove si era poi specializzato, nei primi Sessanta si era trasferito a Roma: qui, per l’ assolo di Sapore di Sale di Gino Paoli, lo aveva chiamato nel 1963 l’arrangiatore Ennio Morricone. Un biglietto da visita per la piccola scena italiana, ma Gato non era uomo da star fermo, e per tutta la vita ha continuato a sgattaiolare da un Paese e da un genere all’altro, fedele al suo nickname, che gli veniva da quando, a Buenos Aires, come un gatto sgusciava velocemente nella notte per vari locali.
La sua musica si lasciava alle spalle l’idea dei confini. Dapprima lo avevano folgorato il free jazz e lo stile di Coltrane, poi era tornato alle sonorità latine, e gli erano cominciate a piacere assai le contaminazioni pop. Si ricordano dai Settanta epici incontri con un altro istrione, Carlos Santana, su celeberrimi pezzi comeSamba pa ti e il quasi-doppione Europa, dialoghi sonori da noi con Pino Daniele, collaborazioni con la scena jazz di tutto il mondo. Aveva inciso 35 album fra il 1967 e il 1982, e moltissimi sono stati i lavori con altri colleghi, da Don Cherry a Charlie Haden.
Un lungo periodo di inattività e di eccessi chimici, dopo la morte della moglie Michelle, era finito nei Novanta e sebbene in condizioni di salute incerte, era solito esibirsi una volta al mese (ancora il 23 novembre) al Blue Note di New York, dove abitava con l’ultima moglie Laura. Che ieri ha ricordato come la musica fosse per lui «un mistero: ogni volta che suonava era una nuova esperienza, e così voleva fosse per il pubblico».
Un personaggio cinematografico lui stesso, Barbieri, con una presenza scenica magnetica e misteriosa sul palco, con il cappello calato sugli occhialoni neri. Irrequieto e consapevole del proprio talento, costruttore del latin jazz: solo l’anno scorso la Latin Recording Academy gli ha dedicato il Latin Grammy alla carriera, per aver creato «uno stile musicale ribelle ma assai accessibile, che unisce il jazz contemporaneo con l’ ispirazione dei generi latini ed elementi di pop strumentale».