4 aprile 2016
Oggi 55 - Islam
Amsterdam Cominciamo dal caso di Amsterdam: agli impiegati degli uffici comunali di Nieuw West, distretto municipale di Amsterdam popolato da molti immigrati medio-orientali, arriva una circolare interna, non firmata, in cui si stabilisce che «le dipendenti non devono indossare una gonna o un vestito che arrivino sopra il ginocchio» e si aggiunge che «gli stivali al ginocchio sono inappropriati durante il lavoro al banco». Il diktat segue la raccomandazione del sindaco di Colonia, una signora che si chiama Henriette Reker, a non indossare capi d’abbigliamento che possano indurre i maschi a violentarle e a tenersi almeno «a un braccio di distanza dagli stranieri». Cioè, in poche parole, il costume islamico ci induce a modificare le nostre abitudini. Tralasciando per un momento tutte le polemiche del caso (riassumibili nel dilemma: dobbiamo modificarci noi o si devono modificare loro?), chiediamoci che cosa accadrebbe nel caso in cui l’Islam prendesse il potere in Italia. Che cosa ci sarebbe concesso, e che cosa proibito?
Elezioni Una prima ipotesi è quella studiata dallo scrittore francese Michel Houellebecq, autore del best-seller Sottomissione, in cui si racconta di una vittoria elettorale in Francia del partito islamico nell’anno 2022, vittoria ottenuta in modo legittimo grazie all’alleanza con i socialisti che hanno paura di una presa del potere da parte di Marine Le Pen. Nel romanzo, l’effetto più vistoso del nuovo regime è la proibizione del lavoro femminile, che mette praticamente fine alla disoccupazione e alle rivolte nelle periferie. Ma arrivano anche una montagna di soldi dal Qatar e dalle altre repubbliche islamiche e questo permette di aumentare in modo sostanziale gli stipendi di tutti. Purché si convertano, naturalmente. Un atto facile per un popolo che, quando si diceva cristiano, non credeva in realtà più a niente.
Donne Più feroce e spettacolare, l’eventualità di una presa di potere da parte di un Islam estremista, tipo Isis. Non basterebbe, in quel caso, proibire alle donne di lavorare. Se il partito vincitore fosse di ispirazione nigeriana (Boko Haram) alle donne sarebbe perfino vietato di andare a scuola, resterebbero cioè analfabete. Nella versione del Califfato, dai sette ai nove anni di età le donne devono studiare le leggi islamiche, l’arabo del Corano, l’aritmetica e le scienze naturali. A 9 anni devono essere pronte per il matrimonio, e comunque imparare cucito e le basi della cucina. A 15 anni dovranno essersi completamente impadronite delle arti manuali e della Shariah. Per il resto: obbligo di velo integrale e copertura totale dalla testa ai piedi, badando che la veste non fasci il corpo facendone immaginare le forme. Divieto di parlare ad alta voce in mezzo alla strada e di uscire sole dopo il tramonto. È anzi fortemente raccomandato di restare sempre in casa. A Raqqa un editto chiarisce che «ogni sorella che continua a violare la Sharia, dopo un avviso di tre giorni sarà punita insieme al suo tutore».
Uomini Gli uomini possono avere più mogli, ma è loro vietato tagliarsi la barba. Devono inoltre firmare un documento in cui accettano di essere puniti per le violazioni compiute dalle donne della famiglia (per esempio: se lasciano che le donne della famiglia non salgano sull’autobus nell’unico luogo ammesso, il garage).
Altri divieti Le chiese sarebbero distrutte, e i neo-convertiti sarebbero costretti a firmare un documento in cui si pentono di quello che hanno fatto prima di convertirsi. Ai cristiani che si trovano nei suoi territori il Califfo ha offerto tre scelte: l’Islam, una tassa assai pesante oppure la spada (Contratto con la città di Ninive). Bando della musica e delle canzoni in macchina, bando delle foto nelle vetrine dei negozi, bando di telefonini, tablet e computer, bando degli alcolici (80 frustate per chi beve), bando delle sigarette, chiusura dei giardini pubblici. Gli omosessuali sono condannati a morte, gli adulteri lapidati, ai ladri sarà amputata la mano destra. Per gli assassini è prevista la crocefissione o la decapitazione in pubblico, con la testa infilzata poi sulla punta delle cancellate. In molte città siriane o irachene controllate dall’Isis, i detenuti sono chiusi in gabbie che vengono appese all’ingresso delle città. Col doppio obiettivo: essere di monito a chi è ancora libero. Oppure essere derisi per la fine che hanno fatto.