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 2016  aprile 04 Lunedì calendario

Breve storia della patria, da Enea che inventò l’Italia all’europeismo di oggi, passando per Virgilio, Manzoni e Berchet

Fino a qualche anno fa tutti o quasi eravamo ottimisti. Pensavamo che i nazionalismi appartenessero al passato e che l’Europa avrebbe accolto e rappresentato tutti noi, al di là di lingua, cultura, religione ed etnia. Che insomma sarebbe nato un patriottismo europeo, come ripetevano anche i Presidenti della Repubblica. Oggi chi facesse ancora un discorso simile sarebbe preso per assai poco lucido, e ricorriamo a un eufemismo. Le nazioni sono tornate alla grande, anzi probabilmente non se ne erano mai andate: sono queste, con i loro conflitti, a rendere impotente l’Unione europea, mentre il discorso patriottico è all’ordine del giorno, sia nelle “democrazie autoritarie” di Putin, Erdogan e Orban, sia nei movimenti populisti, il Front national, l’Ukip, ora pure l’Afd tedesco. Chi era federalista o addirittura separatista, come la Lega, è diventato patriottico e finanche nazionalista.
Ecco perché in tanti sono tornati a riflettere su cosa siano la patria e la nazione, concetti ben diversi. Da noi, si dice, sono sempre state “appartenenze” deboli. Un giudizio da ponderare volta per volta. Ci aiuta in questo il bel libro di Fabio Finotti, Italia. L’invenzione della patria (Bompiani, 28 euro). L’autore, studioso della letteratura, ci propone infatti una storia dell’idea di patria e di Italia dalle origini ad oggi. E lo fa in larga parte attraverso la grande letteratura che non solo da noi, ma soprattutto da noi, ha contribuito a definire un sentimento e una identità patriottici.
LA CONCORDIAQuando si dice che la storia raccontata da Finotti parte dalle origini, si intendono come ben lontane. È infatti Virgilio con l’Eneide a inventare l’idea di Italia e il sentimento di appartenenza alla patria, un’Italia erede di Troia e, con Roma, centro dell’Impero. Una patria imperale inclusiva, “patria, perché terra d’origine anche di chi non la conosce. Luogo di una nuova concordia tra i popoli: quelli che stanno e quelli che vanno, gli indigeni e gli esuli”. Questa idea inclusiva di patria attraversa tutto il Medioevo e arriva sino a Dante, per il quale la patria è una realtà multipla, è la città in cui si è nati, è l’Italia, è infine l’Impero. 
A definire in un senso più vicino a noi la concezione della patria, cioè a legarla alla nazione e al territorio, sarebbero invece Petrarca, soprattutto con il poema l’Africa, e poi Machiavelli: entrambi del resto hanno di fronte la formazione degli Stati nazionali, Francia, Inghilterra, Spagna. Il luogo in cui si è nati, la lingua, l’etnia. Per Finotti queste non sarebbero, come capita spesso di leggere, invenzioni ottocentesche. L’idea che si è italiani perché si appartiene a un’etnia e si parla una medesima lingua è infatti ravvisabile ben prima. Solo con la Rivoluzione francese però patria, nazione (e Stato) etnia e lingua finiscono per fondersi: da questo momento la patria è il sentimento di appartenere a una nazione i cui confini sono ben definiti, anzi “sacri,” retta da uno e un solo Stato, legittimato dalla sovranità popolare, in cui cittadini parlano una stessa lingua appunto “nazionale” e sono il più possibile etnicamente omogenei. 
I CENOBITIQuando Manzoni, soprattuto nell’ode Marzo 1821 canta questi elementi, egli è infatti più erede dello spirito del 1789 che non del Romanticismo, che sul tema della patria ha solo reso poetica la concezione elaborata dai rivoluzionari francesi. Un Manzoni assai più “giacobino” di un Alfieri e di un Foscolo. Ovvio che poi la patria diventerà una religione. Anche se un illuminista come Melchiorre Cesarotti alla fine del ‘700 mette in guardia dai “cenobiti” della patria, un altro romantico, negli anni Venti dell’Ottocento, Giovanni Berchet, canta nella romanza Il rimorso di una fanciulla andata in sposa ad un austriaco “maledetta chi d’italo amplesso / il tedesco soldato beò!”. Da lì a Giuseppe Mazzini ci vuole poco: con il patriota genovese l’idea di patria come religione a cui è bello, anzi doveroso, donare il sangue e la vita, con i suoi martiri e i suoi eroi, diventa centrale. E il fascismo poi imporrà l’identificazione tra patria, Stato e partito. 
Sbagliato sarebbe tuttavia ironizzare sul sentimento risorgimentale mazziniano e persino accusarlo di “razzismo”: è con questo che si è costruito il nostro paese e che si è riusciti a vincere, quasi un secolo fa, una guerra. Dopo quella perduta, la Seconda, invece il sentimento patriottico si fa confuso anche se (ottimisticamente?) Finotti crede che il mix di patriottismo, federalismo, europeismo, spirito di inclusione e forte senso della piccola patria (il campanile), tipico del nostro paese, sia un segno di forza e di elasticità, di fronte ai marosi che ci aspettano. Assai più metaforici ma non meno pericolosi di quelli che Enea dovette affrontare quando “invento” l’Italia.