Il Messaggero, 4 aprile 2016
Hitchcock/Truffaut ovvero trecento pagine d’intervista in un film di 79 minuti
«Il mio passato di critico era molto recente e non mi ero ancora liberato della voglia di convincere». François Truffaut era così incavolato con gli americani da decidere che l’unico modo per dare loro una lezione sarebbe stato scrivere un libro. Amareggiato da un viaggio negli States del 1962 in cui gli yankee sbeffeggiarono il suo profondo amore per Alfred Hitchcock, l’ex redattore dei Cahiers du cinéma, diventato già regista di culto con I 400 colpi e Jules et Jim, tornò a indossare l’abito del critico cinematografico per convincere gli “haters” Usa dell’epoca che si sbagliavano di grosso. Nacque così il saggio sulla settima arte più importante del mondo: “Il cinema secondo Hitchcock”.
I CAPITOLITruffaut tornò determinato negli Usa, sempre in quel 1962, per chiacchierare con il Maestro del Brivido una settimana intera tra il Beverly Hills Hotel e gli Universal Studios dove Hitchcock stava ultimando il montaggio de Gli uccelli. I quindici capitoli di intervista che ne uscirono fuori arrivano nelle librerie nel 1966. Il resto è Storia e contemporaneamente Mito. Hitchcock fu rivalutato come artista e Truffaut realizzò un capolavoro su carta.
Non era per niente facile, quindi, il compito di Kent Jones, regista del documentario Hitchcock/Truffaut, nelle nostre sale da oggi fino a dopodomani compreso. In soli 79 minuti Jones ha avuto il merito di recuperare l’audio originale di quelle interviste (Truffaut parla francese e Hitchcok risponde in inglese) volte a raccontare la carriera del corpulento cineasta britannico, dai primi successi nel cinema muto con The Lodger all’ultima fatica Gli uccelli. Jones sfrutta tutti i vantaggi dell’audiovisivo trasformando subito quelle pagine in suadenti conversazioni dove il francese fa il passionale e l’inglese gioca con l’understatement (due voci foneticamente agli antipodi).
Poi intervengono ovviamente estratti visivi di tanti gioielli da La donna che visse due volte aPsyco, passando per Io confesso (anche qui l’attacco pesantissimo a Montgomery Clift), Il ladro e il molto citato Gli uccelli (momento magico mentre ascoltiamo dalla voce di Hitchcock tutta l’articolata costruzione della scena dell’esplosione del benzinaio, osservando simultaneamente la sequenza finita). Ai reperti d’epoca (comprese foto scattate ai due durante le interviste) il documentario affianca anche interviste a registi di oggi. E non si tratta di artisti qualsiasi ma di Martin Scorsese (conosciamo il suo zelo critico-storico grazie a formidabili regie di doc comeViaggio nel cinema americano e Il mio viaggio in Italia), Peter Bogdanovich (autore di un libro intervista con Orson Welles ispirato dal libro di Truffaut), Wes Anderson, David Fincher e i francesi Arnaud Desplchin e Olivier Assayas (pure lui ex critico dei Cahiers du cinéma e infatti il più simile a Truffaut nell’espressività ed entusiasmo). Unici difetti: la durata (79 minuti non bastano a coprire quelle 300 pagine), certe omissioni rispetto al libro (grave non rendere maggiore omaggio ad Helen Scott, intellettuale e collaboratrice storica di Truffaut fondamentale per la riuscita del saggio) e la mancanza di didascalie per presentare allo spettatore non “hitchcockologo” le clip dei suoi film con un aiuto per riconoscerli.
IL SENSO«Da un buon libro non si ottiene necessariamente un buon film», diceva il regista di Intrigo internazionale a Truffaut in uno dei loro ultimi scambi. E da un capolavoro si può ottenere un capolavoro? Ancora più difficile. Quel libro fu un capolavoro. Questo documentario, invece, è solo un buon film in grado però di restituire il senso e fine ultimo della battaglia vinta da Truffaut.