Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  aprile 04 Lunedì calendario

LA VECCHIA REPUTAZIONE RINASCE GRAZIE AL WEB

Una buona notizia, forse: la reputazione sta tornando di moda. Non lo era più da molto tempo. L’avevamo rottamata senza rimpianti per liberare le “brave ragazze” e i “ragazzi di buona famiglia”, e i padri e le madri, dalla gabbia del conformismo, che era il cuore della reputazione nella società piccolo borghese. Come spesso succede non ci siamo però accorti che insieme all’acqua sporca buttavamo via anche il bambino, un bambino assai prezioso.
Il passo successivo è stato sostituire la reputazione con l’immagine, la cui costruzione e gestione è diventato un business colossale. Nel mondo in technicolor la comunicazione e l’immagine sono diventate tutto, costruite a tavolino per rivelare e anche per nascondere, per trasformare artificialmente persone in personaggi. La reputazione è una cosa diversa, è la nostra identità definita dagli altri in base alla sequenza nel tempo di comportamenti coerenti, e può essere buona o cattiva secondo i contesti. Nel mondo della malavita un algido killer probabilmente godrà di ottima reputazione, nella società nel suo complesso, che ovviamente preferisce comportamenti socialmente desiderabili, una pessima. Non sono stati solo i cambiamenti del costume a rottamare la reputazione, ma anche quelli sociali ed economici. In reti piccole identificare un buon avvocato, un buon medico, un buon idraulico, una buona banca era relativamente semplice raccogliendo le esperienze di amici e conoscenti . Con le reti larghe questo è diventato più difficile. Quando compravamo dal salumiere di quartiere era lui che consideravamo responsabile della qualità del prosciutto, ora che compriamo per lo più buste sigillate nei supermercati dobbiamo fidarci del nome che c’è sopra (e infatti le imprese investono milioni nella riconoscibilità e credibilità del marchio). Lo stesso vale per molti altri ambiti della vita. In alcuni settori, come la finanza, abbiamo delegato a terzi la valutazione e abbiamo dato un potere gigantesco (a vedere dagli esiti, sbagliando) alle società di rating. Il problema è che nel modo dell’immagine e del rating costruiti a tavolino, la coerenza dei comportamenti socialmente desiderabili - persa nella nostra cultura quotidiana come metro di valutazione e strumento di controllo sociale - è andata a farsi benedire anche nella realtà. E noi non ci fidiamo più di nessuno, delle istituzioni, degli educatori, delle aziende, dei medici, degli avvocati e neanche degli idraulici. Il danno è grande, soprattutto nella selezione delle classi dirigenti, operazione delicata per la quale la reputazione è uno strumento fondamentale. Ci siamo affidati alle parole e all’immagine e sempre meno alla coerenza dei comportamenti. E siamo diventati anche noi tutti un po’ peggiori perché abbiamo l’impressione, falsa ma forte, che non pagheremo prezzo per la nostra incoerenza o per le nostre piccole e grandi scelleratezze. Paradossalmente, a riportare in auge la vecchia rottamata reputazione è la macchina della modernità, internet, con la platform economy, con la sharing economy, fino a far nascere, ormai qualche anno fa, un neologismo: “reputation economy”. Precaria e manipolabile (sempre più difficilmente per fortuna) quanto vogliamo, ma basata sui comportamenti. Non è un caso che la rinascita arrivi dal web, perchè il massimo della disintermediazione che il web porta con sè determina un nuovo pressante bisogno di fiducia. Se per andare all’aeroporto prendiamo Uber dobbiamo fidarci dell’autista (per il tassista avevamo delegato all’amministrazione la verifica delle sue qualità al rilascio della licenza). Se diamo o prendiamo in affitto una stanza su AirBnb dobbiamo fidarci di chi entra o di chi ci promette biancheria pulita; se compriamo una moto usata su eBay dobbiamo fidarci che sia nelle condizioni descritte. Ora su internet si sceglie tutto, merci e servizi, forniti da sconosciuti che non abbiamo mai visto in faccia. La soluzione trovata è quella del giudizio reciproco, di venditore e compratore, pubblicato su internet in modo che tutti possano vederlo. I gestori delle piattaforme escludono dal loro servizio chi ha un certo numero di “recensioni” negative e ciascuno di noi può farsi un giudizio attraverso quello di altri che hanno avuto lo stesso interlocutore prima di noi. È uno strumento fondamentale per l’economia delle piattaforme, ma il suo diffondersi è anche un passaggio culturale. Un autista di Uber, oltre a guidare con prudenza e conoscere le strade (con l’aiuto di Google Maps) è spinto anche ad essere gentile, cosa che il rilascio di una licenza ad un tassista non sempre garantisce. Un idraulico sarà spinto ad essere più puntuale e meno esoso, così un dentista, un medico o un avvocato. La scoperta che essere coerenti e corretti paga potrebbe essere contaminante, e abituarci a valutare chi guida l’azienda in cui lavoriamo o il paese in cui viviamo dai comportamenti e non solo dalle parole. La “reputation economy”ci salverà. Forse.
Marco Panara, Affari&Finanza – la Repubblica 4/4/2016