
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Qual è l’interpretazione autentica dell’espressione «coesione sociale» o forse «Coesione sociale» (con la maiuscola) messa in circolo da Maurizio Landini l’altro giorno? Ecco quello che si chiedono militanti, intellettuali e giornalisti che tentano di capire.
• L’altra sera, da Fazio, Gramellini ha letto le definizioni di wikipedia e stabilito che «coesione sociale» = partito.
Landini dice di no e credo che abbia ragione. L’idea è quella di aggregare tutti quelli che sono già organizzati in qualche modo nella società e che non sono d’accordo con le cose che Renzi fa e con quelle che vuole fare. Questo insieme di realtà, sapendo già che non potrà influire sugli apparati perché degli apparati Renzi o si è già impossessato o avrà buon gioco a impossessarsi presto, intende agire da fuori. Nelle piazze o con strumenti extra-parlamentari, come il referendum. È già stata annunciata l’intenzione di indire un referendum per l’abolizione del Jobs Act, cioè la riforma del lavoro appena varata dal governo. La Cgil s’è molto irritata perché andare in piazza sotto le insegne di “Coesione sociale” non sarà come andare in piazza sotto le insegne della “Cgil”. A sinistra c’è concorrenza. E del resto: a sinistra c’è sempre stata concorrenza.
• La Camusso dice che non ne sapeva niente.
Ieri dalla Annunziata Landini ha detto che invece sapeva e che, fino ad ora, non si sono sentite obiezioni. Quelli che se ne intendono dicono che Landini punta alla segreteria, dove si insedierebbe alla scadenza della Camusso (2018) o magari anche prima. Far politica da fuori, far politica senza farsi eleggere. Può essere un’astuzia, anche per non andare mai alla verifica numerica o percentuale dei consensi effettivi.
• Landini ha pochi consensi?
Landini è il segretario dei metalmeccanici Cgil. Ha perso la battaglia contro Marchionne. Ha indetto uno sciopero a Pomigliano e gli sono andati dietro in cinque (cinque di numero). Ha indetto uno sciopero a Melfi e hanno aderito il 2,8% dei lavoratori. L’idea del referendum abrogativo del Jobs Act, del resto, Camusso l’aveva lanciata prima di Landini e Landini, insinuandola nei discorsi di questi giorni, gliela sta praticamente rubando. Il fatto è che nel mondo sono seducenti i movimenti alla Syriza o alla Podemos e nella nostra sinistra c’è molta voglia di andar dietro agli Tsipras e ai Varoufakis. In Italia esiste pure un’infelicità provocata dall’attivismo del segretario-premier e anche di questa infelicità si vorrebbero raccogliete i frutti: smania Landini, ma si agita anche la Boldrini, e abbiamo Civati, e abbiamo Fassina e abbiamo Bersani, e abbiamo Vendola e di sicuro mi sto dimenticando qualcuno perché comunque in quel vasto mondo girano ancora i Marco Rizzo, gli Oliviero Diliberto, gli Angelo Bonelli, ogni tanto rispunta Casarini, Landini ha tirato dentro Gino Strada, per non parlare di Ingroia che prese il 2% e a quanto pare crede nel fatto che i coesi-sociali di Landini potrebbero dargli una seconda occasione (intanto è indagato dai suoi ex colleghi magistrati). Per non parlare di Venezia, dove Felice Casson, appoggiato da Rifondazione e Sel, contende la candidatura democratica a sindaco di Venezia ai renziani Pellicani e Molina.
• Ma tutti questi non potrebbero mettersi insieme, senza dividersi, e andare all’attacco dell’odiato Renzi?
E chi comanderebbe questa simpatica armata rossa? Perché è purtroppo necessario rassegnarsi al fatto che a sinistra, da un certo momento in poi, è stata sempre una questione di leadership, e sia pure di leadership mascherata. Per tutti questi anni, i capi (o cavalli di razza) della sinistra si sono battuti obbedendo alla filosofia: non importa che non possa vincere io, ma di sicuro non permetterò che vinca tu. L’antiberlusconismo generalizzato ha in parte nascosto questo vizio di fondo. Il renzismo lo ha reso visibile: chi impugnerà la bandiera contro il segretario in nome della lotta antifascista? Questo è il problema.
• Quando l’altro giorno Landini ha lanciato il suo movimento, chi ha partecipato ai lavori?
Solo i più fidati dei suoi sostenitori. Quelli di Sel sono stati fatti uscire dalla sala di corso Italia (la sede della Cgil), idem quelli del M5S. Non parliamo dei giornalisti, lasciati sotto la pioggia, ammessi nell’androne solo per pietà e accompagnati dalle guardie Fiom anche al cesso. Un modo singolare di aprirsi alla coesione sociale.
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