Corriere Economia, 16 marzo 2015
Niente paracadute pubblico, le banche fanno da sole per i loro 200 miliardi di sofferenze. L’auspicata soluzione sistemica non è arrivata. I big si muovono. E al fianco di Intesa e Unicredit arrivano gli specialisti americani
Una montagna di 190 miliardi di crediti inesigibili sta schiacciando il sistema produttivo e creditizio italiano. In due anni, dal dicembre del 2012, il complesso delle attività deteriorate (sofferenze lorde) è passato da 124,9 miliardi a 183,6 miliardi. Aumenta al ritmo di due miliardi al mese. Effetto della crisi, certo, ma l’emorragia rischia di compromettere pesantemente tutto il sistema economico italiano.
Cambio di passo
Per questo, oggi in Italia, si sta cercando di voltare pagina. Si è parlato molto di «Bad Bank», una società di nuova costituzione in cui le banche (una, o più d’una), facciano confluire l’insieme delle partite ammalorate che pesano sui loro portafogli, ma a livello sistemico, in Italia, non si è fatto nulla. Sul fronte dei mutui non onorati, è attivo da tempo Italfondiario che è parte del gruppo statunitense Fortress. Quasi nulla è stato fatto sul fronte delle aziende. Così, sfidando i tempi, Intesa Sanpaolo e Unicredit, ovvero le due maggiori banche italiane, hanno trovato un accordo con due partner di tenore internazionale come Kkr e Alvarez & Marsal per intervenire direttamente sul tessuto industriale italiano al fine di salvare il salvabile. La decisione, presa ai massimi livelli dei due istituti di credito, ha coinvolto le forze italiane di Kkr e Alvarez & Marsal, in particolare, rispettivamente, Gaudenzio Bonaldo Gregori (appena arrivato da Rbs) e Adriano Bianchi, che da oltre un anno segue tutta la vicenda. Così si è arrivati al primo step, che vede protagoniste due aziende del Nordest in un settore molto aggredito dalla concorrenza internazionale a basso costo, quello dei sistemi di riscaldamento.
Nomi storici, come Riello e Ferroli, da anni in difficoltà, saranno affiancati nella gestione quotidiana e spicciola del business dagli uomini indicati dalle banche creditrici, sostanzialmente uno staff composto dagli esperti di Alvarez & Marsal, che nel loro track record evidenziano l’operazione Lehman Brothers.
Parere legale
Non è la prima volta che accade in Italia. Ma in questo caso si è fatto un passo in avanti. Se è vero che la titolarità delle azioni rimane saldamente in mano ai soci, è la prima volta che le ragioni dei creditori assumono tale rilevanza.
«Dal punto di vista legale – spiega Fiorenzo Festi, titolare della cattedra di Diritto civile all’università Luic-Carlo Cattaneo di Castellanza – ciò può avvenire solo con il consenso dei soci o in presenza di particolari accordi contrattuali precedenti alla concessione dei finanziamenti. In concreto vi possono essere situazioni in cui le ragioni dei creditori si fanno più impellenti sicché per salvare la continuità aziendale diventa necessario ipotizzare una strategia gestionale condivisa con le banche».
Per certi versi è un passo che avvicina le due sponde dell’Atlantico. In Italia la disciplina legale si è spinta agli effetti dell’articolo 182 bis della legge fallimentare. Negli Stati Uniti, dove esiste in caso di insolvenza il cosiddetto Chapter 11, le ragioni del creditore sono molto maggiormente tutelate. Al punto che, in determinate situazioni, è il creditore il vero proprietario dell’azienda. La tendenza sembra ora prendere piede anche in Italia.
La gestazione del progetto è stata particolarmente lunga, anche perché si è reso necessario un cambiamento normativo, da una struttura che seguiva i precetti dell’articolo 107 del Testo unico bancario (Tub) a una struttura che si rifà all’articolo 130 del medesimo Tub, ovvero una società che opera anche nelle securitization. Secondo quanto è dato sapere le due aziende venete sono le prime di un plotoncino abbastanza corposo. Almeno otto i file che si trovano oggi sulla rampa di lancio. Le operazioni di affiancamento si realizzeranno nei prossimi mesi, ma per tutti appare chiaro che – dopo le necessarie lungaggini legate alle attività di sorveglianza – oggi è necessario fare presto. Il tempo è un fattore chiave.
«Bad Bank»
La Bad Bank, sia chiaro, è tutt’altra cosa. L’unico esempio in Italia di questo genere di attività ha visto protagonista Intesa Sanpaolo. Quando alla fine del secolo scorso acquisì le attività del Banco di Napoli, costituì una newco dove fece confluire tutte le attività ammalorate che erano contenute nella vecchia banca, liberandola così da una fardello assai complicato da gestire.
Fu una gestione felice, visto che il 94 per cento degli attivi conferiti dal vecchio Banco di Napoli nella Società Gestione Attività, finirono in bonis. Altri casi, in Italia, non ci sono e anche recentemente è stata smentita l’ipotesi di creare una B ad Bank di sistema, magari con la partecipazione pubblica. Non se ne è fatto nulla – sebbene il Monte dei Paschi di Siena pare ci stia pensando – anche perché le banche interessate rischierebbero di perdere, così facendo, la titolarità del rapporto con il proprio cliente. Ben diverso invece è quanto è accaduto negli Stati Uniti tra il 2007 e il 2011 e a quanto fatto dal governo spagnolo nel 2012. Madrid infatti creò, grazie anche al contributo di 41 miliardi di euro da parte dell’Unione europea, il suo «Banco Malo», ovvero la Sareb, che in tre anni di intensa attività riuscì a invertire il trend negativo dei propri asset (anche perché pagò gli appartamenti al 48 per cento del prezzo iscritto a bilancio, i terreni al 21 per cento e i mutui al 55 per cento) e a ottenerne degli utili. Quel treno ormai è passato e per l’Italia non si presenterà più. Restano le soluzioni puntuali, quasi chirurgiche, con cui intervenire, per cercare di recuperare il tempo perduto.