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 2015  marzo 16 Lunedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - L’ARRESTO DI INCALZA E LA LEGGE SUL FALSO IN BILANCIO ANSA.IT Quattro arresti e oltre 50 indagati in una maxi operazione dei carabinieri del Ros, coordinata dalla procura di Firenze

APPUNTI PER GAZZETTA - L’ARRESTO DI INCALZA E LA LEGGE SUL FALSO IN BILANCIO ANSA.IT Quattro arresti e oltre 50 indagati in una maxi operazione dei carabinieri del Ros, coordinata dalla procura di Firenze. Nel mirino la gestione illecita degli appalti delle cosiddette Grandi opere. Tra i 4 arrestati c’è il superdirigente del Ministero dei Lavori Pubblici (ora consulente esterno) Ercole Incalza. Gli altri sono gli imprenditori Stefano Perotti e Francesco Cavallo, e Sandro Pacella, collaboratore di Incalza. Agli indagati, tra cui ci sarebbero anche dei politici, vengono contestati i reati di corruzione induzione indebita, turbata liberta’ degli incanti ed altri delitti contro la Pa. Spunta anche il nome di Antonio Acerbo, l’ex manager di Expo già arrestato lo scorso ottobre nel filone d’inchiesta milanese sulla ’cupola degli appalti’, tra gli indagati nell’indagine dei pm di Firenze sulle grandi opere che ha portato a 4 arresti. E’ accusato di turbativa d’asta per aver pilotato la gara per il ’Palazzo Italia’. "Stefano Perotti - scrive il gip di Firenze nell’ordinanza di custodia cautelare per i quattro arrestati nell’inchiesta sui grandi appalti - ha procurato degli incarichi di lavoro a Luca Lupi", figlio del ministro Maurizio Lupi. Secondo il ministro delle infrastrutture, Maurizio Lupi, Ercole Incalza, uno degli arrestati nell’inchiesta a Firenze, "era ed è una delle figure tecniche più autorevoli che il nostro Paese abbia sia da un punto di vista dell’esperienza tecnica nazionale che della competenza internazionale, che gli è riconosciuta in tutti i livelli". "Non ho mai chiesto all’ingegner Perotti né a chicchessia di far lavorare mio figlio. Non è nel mio costume e sarebbe un comportamento che riterrei profondamente sbagliato". Lo chiarisce il ministro dei trasporti Maurizio Lupi in una nota, precisando che il figlio lavora a New York dai primi di marzo. "Mio figlio Luca si è laureato al Politecnico di Milano nel dicembre 2013 con 110 e lode dopo un periodo di sei mesi presso lo studio americano SOM (Skidmore Owings and Merrill LLP) di San Francisco, dove era stato inviato dal suo professore per la tesi. Appena laureato ha ricevuto un’offerta di lavoro dallo stesso studio per la sede di New York", spiega Lupi. "In attesa del visto per lavorare negli Stati Uniti - prosegue - (un primo visto l’ha ricevuto nel giugno 2014, subito dopo il matrimonio, per ricongiungimento con la moglie che è ricercatrice in Italia e in America), ha lavorato da febbraio 2014 a febbraio 2015 presso lo studio Mor di Genova con un contratto a partita Iva per un corrispettivo di 1.300 euro netti al mese. Nel gennaio 2015 gli è stata reiterata l’offerta dello studio SOM, gli è quindi finalmente arrivato il visto e dai primi di marzo mio figlio lavora a New York". "Ripeto - conclude il ministro -, non ho mai chiesto nulla a nessuno per il suo lavoro, mi sembra, inoltre, dato il suo curriculum di studi, che non ne avesse bisogno". "La preoccupazione di Stefano Perotti e Giorgio Mor non è comprensibile al di fuori di uno scenario illecito". Lo scrive il gip di Firenze, riferendosi al fatto che Mor teme che la collaborazione con il figlio del ministro Maurizio Lupi, Luca, possa essere ritenuta "poco opportuna". "Nulla - spiega il gip - può impedire a costoro di assumere le persone che vogliono" salvo che la collaborazione "possa essere immaginata quale corrispettivo di qualche utilità fornita da Maurizio Lupi per il tramite di Ettore Incalza". Mor, scrive il gip, chiede inizialmente a Perotti "se fosse possibile assumere Luca Lupi ’in maniera meno formale’". Nel prosieguo della telefonata, Mor spiega, con più chiarezza, la sua preoccupazione. Egli infatti dice al cognato: "Ci siamo, abbiamo fatto una riflessione che sembrava poco opportuno era la triangolazione", cioè il sistema con cui Mor e Perotti avrebbero trovato lavoro al figlio di Lupi. Perotti esclude quella possibilità ma "riconosce che ’può esistere un minimo di rischio’, spiegandolo con la possibilità che le cose ’vengano fuori’ e dice al cognato: ’non ti voglio mettere nelle condizioni di assumerti un rischio’". Più tardi, Giulio Burchi, indagato, conferma che questa informazione sta per divenire di dominio pubblico, dicendo: "no no, sta venendo fuori, il figlio si chiama Luca Lupi e lavora con Perotti e addirittura è assunto". Tutte le principali Grandi opere - in particolare gli appalti relativi alla Tav ed anche alcuni riguardanti l’Expo, ma non solo - sarebbero state oggetto di un "articolato sistema corruttivo che coinvolgeva dirigenti pubblici, società aggiudicatarie degli appalti ed imprese esecutrici dei lavori". Le indagini sono coordinate dalla procura di Firenze, perché - sempre secondo quanto è stato possibile apprendere - tutto è partito dagli appalti per l’Alta velocità nel nodo fiorentino e per il sotto-attraversamento della città. Da lì l’inchiesta si è allargata a tutte le più importanti tratte dell’Alta velocità del centro-nord Italia ed a una lunga serie di appalti relativi ad altri Grandi Opere, compresi alcuni relativi all’Expo. Le ordinanze di custodia cautelare sono in corso di esecuzione dalle prime ore di questa mattina a Roma e a Milano da parte del Ros, che contestualmente sta effettuando in diverse regioni perquisizioni di uffici pubblici e sedi societarie riconducibili agli indagati. I carabinieri del Ros stanno eseguendo decine di perquisizioni nei domicili degli indagati e anche negli uffici di diverse società tra cui Rfi e Anas international Enterprise. In primo piano nell’indagine, i rapporti tra il manager dei lavori pubblici Ercole Incalza e l’imprenditore Stefano Perotti cui sarebbero state affidate nel tempo la progettazione e la direzione dei lavori di diverse grandi opere in ambito autostradale e ferroviario, dietro compenso. Secondo l’accusa sarebbe stato proprio Incalza - definito "potentissimo dirigente" del ministero dei Lavori Pubblici, dove è rimasto per 14 anni, attraversando sette governi, fino all’attuale - il principale artefice del "sistema corruttivo" scoperto dalla procura di Firenze. Sarebbe stato lui, in particolare, in qualità di ’dominus’ della Struttura tecnica di missione del ministero dei Lavori pubblici, ad organizzare l’illecita gestione degli appalti delle Grandi opere, con il diretto contributo di Perotti, cui veniva spesso affidata la direzione dei lavori degli appalti incriminati. Riguardo agli altri due arrestati, Pacella è un funzionario del ministero, stretto collaboratore di Incalza, così come gravitava nell’ambito del dicastero anche Cavallo, presidente del Cda di Centostazioni Spa, società del gruppo Ferrovie dello Stato. "L’Italia non è un paese strano. Purtroppo noi abbiamo una predisposizione all’irrequietezza, non vorrei dire all’illegalità, che purtroppo c’è. E’ un paese il nostro in cui la corruzione è un tumore come la mafia". Lo ha detto, a margine di un’iniziativa a Firenze, il prefetto del capoluogo toscano, Luigi Varratta, in merito all’inchiesta sulle grandi opere. "Sono dell’avviso - ha aggiunto - che la corruzione va combattuta come la criminalità organizzata. Non vorrei dire che l’Italia è un paese corrotto, però lo dicono studi ed osservatori internazionali che ci collocano all’ultimo posto fra i paesi europei come percezione della corruzione. Quello che è accaduto stamattina purtroppo è in linea con queste riflessioni". REPUBBLICA.IT ROMA - Il tanto sospirato testo del governo riguardante l’emendamento che reintroduce il reato di falso in bilancio è stato finalmente presentato in Commissione Giustizia del Senato, dove è in discussione il ddl anticorruzione. Il presidente dell’Aula Pietro Grasso, che fu primo promotore del disegno di legge, ha accolto la notizia con queste parole, particolarmente emblematica della vicenda del provvedimento: "C’è una buona notizia. Alleluia, alleluia! Il famoso emendamento sul falso in bilancio è arrivato e questa è una novità importante". Dalle prime informazioni, nel testo resta la pena della reclusione da 3 a 8 anni per le società quotate in Borsa colpevoli di falso in bilancio. Per lo stesso reato, le società non quotate vengono punite con la pena che va da 1 a 5 anni, termine massimo che esclude l’utilizzo delle intercettazioni durante i relativi accertamenti. Inoltre, sul falso in bilancio si procede d’ufficio, tranne nei casi che riguardano le società non quotate al di sotto dei limiti di fallibilità, dove viene introdotta la procedura a querela. In caso di falso in bilancio, le sanzioni pecuniarie vanno da 400 a 600 quote per le società quotate, da 200 a 400 per quelle non quotate, mentre il testo del governo stabilisce la sanzione da 100 a 200 quote per le società non quotate a cui viene riconosciuto il fatto di lieve entità. Entra, infatti, nel testo del governo al ddl anticorruzione la norma sulla tenuità del fatto, varata dall’ultimo Consiglio dei ministri, che introdotto nel Codice penale l’articolo 131 bis, con l’archiviazione di alcuni fatti di lievissima entità. Il tweet di Matteo Renzi: "Contro corruzione proposte governo: pene aumentate e prescrizione raddoppiata. E l’Autorità oggi è Legge con pres Cantone". E’ stato il viceministro della Giustizia Enrico Costa a depositare il testo in Commissione, ma la seduta è stata sospesa per mancanza del numero legale. In particolare, risultavano assenti diversi membri dem dell’organismo. Così il presidente Nitto Palma ha deciso di sospendere la seduta. Nel frattempo è arrivato anche anche il guardasigilli Andrea Orlando e la seduta della Commissione è ripresa. La Commissione dovrà ora fissare un termine per i sub-emendamenti. I lavori sul ddl corruzione molto probabilmente proseguiranno in notturna, cercando di rispettare una calendarizzazione che vorrebbe il ddl in Aula a Palazzo Madama già domani. Per il ministro Orlando "si può fare". "Ci sono tutte le condizioni per rispettare i tempi per l’Aula - dice il Guardasigilli -. Il testo è equilibrato, efficace e incisivo che colma le lacune. Può mordere il fenomeno della corruzione". "E’ difficile ma si può fare" invece, per il relatore Nico D’Ascola (Ncd), per il quale "il testo potrebbe essere licenziato già entro questa seduta". Decisamente pessimista il senatore Enrico Buemi (Psi): "È difficile che si chiuda stasera. Possibile nei prossimi giorni". Spinge per il rispetto dell’impegno il M5s. "Nessuna riserva da parte nostra nel sostenere il ddl Grasso, anche se noi abbiamo già presentato cinque, sei proposte sul tema che andrebbero a migliorarlo e che adesso comunque potrebbero diventare emendamenti" ha dichiarato in conferenza stampa il senatore Enrico Cappelletti, membro della commissione Giustizia, a cui ha fatto eco il deputato M5S Alessandro Di Battista, presente all’incontro: "Noi siamo pronti a calendarizzarlo domani, dopodiché lo emenderemo per renderlo un testo ancora più duro". LA STAMPA.IT «C’è una buona notizia. Alleluja, alleluja! Il famoso emendamento sul falso in bilancio è arrivato e questa è una novità importante». Così il presidente del Senato, Pietro Grasso, a margine della presentazione di un libro oggi a Roma ha commentato la presentazione in commissione Giustizia del Senato, l’emendamento che riscrive le norme sul falso in bilancio. La Commissione dovrà ora fissare un termine per i sub-emendamenti. Sono presenti il ministro e il viceministro della Giustizia, Andrea Orlando ed Enrico Costa. «Contro corruzione proposte governo: pene aumentate e prescrizione raddoppiata. E l’Autorità oggi è legge con presidente Cantone» Così il premier Matteo Renzi su twitter dopo l’emendamento presentato in Senato sul ddl. Pene differenti tra società quotate e non Fra le novità previste dal testo del Governo, viene confermata l’ipotesi di una differenziazione tra società quotate e non quotate: nel primo caso la pena potrà essere tra i 3 e gli 8 anni mentre nel secondo caso da uno a cinque anni (che, nel caso di «fatti di lieve entità» potranno scendere da 6 mesi a 3 anni). Inoltre viene prevista la querela di parte in caso di piccole società non quotate (al di sotto dei limiti previsti per la fallibilità). I vertici di una società che «al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto» espongono «consapevolmente», «fatti materiali rilevanti» o li omettono rischiano da 1 a 5 anni. Due anni di attesa Oggi, dopo due anni, alle 17,30 è finalmente tornato in commissione Giustizia al Senato il disegno di legge sull’anticorruzione che Pietro Grasso depositò il 15 marzo 2013. Dopo l’ennesimo slittamento, il ddl dovrebbe arrivare in Aula a Palazzo Madama questa settimana, ma in commissione non è ancora stato presentato l’emendamento del governo sul falso in bilancio. «Ci sono tutte le condizioni per rispettare i tempi per l’Aula - ha detto il Guardasigilli Orlando -. Il testo è equilibrato, efficace e incisivo che colma le lacune. Può mordere il fenomeno della corruzione». Sabato, lo stesso presidente del Senato Grasso scriveva su Twitter: «Corruzione. Domani saranno 2 anni da quando presentai Ddl. Questa sarà la settimana decisiva. Stavolta Godot arriva». Orlando: «Testo equilibrato e incisivo» Si è passati «da un reato di danno a un reato di pericolo con aumento delle pene». Così Orlando che ha sottolineato come ora siamo di fronte a un reato «in grado di mordere il fenomeno», «un testo equilibrato e incisivo per contrastare il fenomeno, un testo che ha superato qualunque ipotesi di soglie di punibilità e che pur accogliendo le osservazioni che arrivavano dal mondo delle imprese non ha rinunciato all’impostazione di contrasto serio del fenomeno». M5S: «Sei proposte per migliorare il ddl» Anche il Movimento 5 Stelle si dice pronto a sostenere il ddl: «Nessuna riserva da parte nostra nel sostenere il ddl Grasso anche se noi abbiamo già presentato cinque, sei proposte sul tema che andrebbero a migliorarlo e che adesso comunque potrebbero diventare emendamenti». Lo ha detto il senatore M5S Enrico Cappelletti, membro della commissione Giustizia, in una conferenza stampa a Palazzo Madama. Il deputato M5S Alessandro Di Battista, presente all’incontro con la stampa, ha aggiunto: «Noi siamo pronti a calendarizzarlo domani e dopodiché lo emenderemo per renderlo un testo ancora più duro». IL CASO INCALZA Quattro arresti, 50 indagati, cento perquisizioni. Gli appalti pubblici tornano nel mirino della magistratura. Tra gli arrestati dell’ultima inchiesta c’è anche Ercole Incalza, ex capo della Struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (in pensione dal dicembre scorso). L’accusa dei pm è di corruzione. Tangenti in cambio di appalti pilotati. Oltre a Incalza, l’altro personaggio chiave dell’inchiesta è l’imprenditore Stefano Perotti. Nelle carte torna più volte anche il nome del ministro Maurizio Lupi, che non è indagato. LE MAZZETTE Tra gli indagati ci sono invece l’ex eurodeputato Vito Bonsignore e Antonio Acerbo, l’ex manager già arrestato lo scorso ottobre nel filone d’inchiesta milanese sulla “cupola degli appalti” che ora è accusato di turbativa d’asta per aver pilotato la gara per il “Palazzo Italia”. Secondo Lupi, Incalza «era ed è una delle figure tecniche più autorevoli che il nostro Paese abbia sia da un punto di vista dell’esperienza tecnica nazionale che della competenza internazionale, che gli è riconosciuta in tutti i livelli». L’importanza della Struttura Tecnica di Missione è ben rappresentata in una conversazione telefonica intercorsa il 16 dicembre 2014 proprio tra il ministro Lupi ed Ercole Incalza. LE GRANDI OPERE IN MANO AL “CARTELLO” L’INTERCETTAZIONE DEL MINISTRO Lupi, infatti, a fronte della proposta di soppressione di tale struttura o di passaggio della stessa sotto la direzione della Presidenza del Consiglio arriva a minacciare una crisi di governo: «... vado io guarda ... siccome su questa cosa ... te lo dico già ... però io non voglio ... cioè vorrei che tu dicessi a chi lavora con te che senno’ vanno a cagare! .. cazzo! … ho capito! ... ma non possono dire altre robe! ... su questa roba ci sarò io lì e ti garantisco che se viene abolita la Struttura Tecnica di Missione non c’è più il Governo! ... l’hai capito non l’hanno capito?!». Chi è Ercole Incalza, il gran boiardo di Stato sopravvissuto a 7 governi e 14 inchieste (di Paolo Colonnello) I NUMERI DELL’INCHIESTA Dalle prime ore di questa mattina, i carabinieri del Ros stanno eseguendo, a Roma e Milano, l’ordinanza di custodia cautelare, emessa su richiesta della Procura della Repubblica di Firenze, nei confronti dei 4 indagati per corruzione, induzione indebita, turbata libertà degli incanti ed altri delitti contro la pubblica amministrazione. Contestualmente sono in corso, in diverse regioni italiane, perquisizioni di uffici pubblici e sedi societarie riconducibili agli oltre 50 indagati. “ARTICOLATO SISTEMA CORRUTTIVO” Tutte le principali Grandi opere - in particolare gli appalti relativi alla Tav fiorentina, ma non solo - sarebbero state oggetto dell’ «articolato sistema corruttivo» messo in piedi dalle persone arrestate ed indagate dalla procura di Firenze e dai carabinieri del Ros. Le indagini sono coordinate dalla Procura di Firenze, perché tutto è partito dagli appalti per l’Alta velocità nel nodo fiorentino e per il sotto-attraversamento della città. Da lì l’inchiesta si è allargata a tutte le più importanti tratte dell’Alta velocità del centro-nord Italia ed a una lunga serie di appalti relativi ad altre Grandi Opere, compresi i lavori relativi alla costruzione di Palazzo Italia per Expo. IL LAVORO AL FIGLIO DI LUPI E IL ROLEX «Effettivamente, Stefano Perotti», l’imprenditore arrestato, «ha procurato degli incarichi di lavoro a Luca Lupi», figlio del ministro. Lo scrive il gip di Firenze nell’ordinanza di custodia cautelare, ma il ministro si affretta a precisare di «non aver mai chiesto favori per lui». Il gip annota che il 21 ottobre 2014, uno degli indagati, Giulio Burchi, «racconta anche al dirigente Anas, ing. Massimo Averardi, che Stefano Perotti ha assunto il figlio del ministro Maurizio Lupi». Ci sono anche i regali che gli arrestati avrebbero fatto al ministro delle Infrastrutture e ai suoi familiari: un vestito sartoriale e un Rolex da 10mila euro al figlio, in occasione della laurea. A regalare il vestito al ministro sarebbe stato Franco Cavallo, uno dei quattro arrestati oggi che secondo gli inquirenti aveva uno «stretto legame» con Lupi tanto da dare «favori al ministro e ai suoi familiari». L’ALTA VELOCITA’ SOTTO FIRENZE L’esecuzione dei provvedimenti ha interessato le province di Roma, Milano, Firenze, Bologna, Genova, Torino, Padova, Brescia, Perugia, Bari, Modena, Ravenna, Crotone e Olbia. L’attività investigativa era stata avviata nel 2013 per accertare ulteriori presunti illeciti nella gestione degli appalti per la realizzazione del “Nodo TAV” di Firenze e del sotto-attraversamento della città. Le indagini hanno documentato gli stretti rapporti tra quest’ultimo e l’ingegnere Stefano Perotti, figura centrale dell’indagine, responsabile della società Ingegneria Spm, a cui sono stati affidati incarichi di direzione lavori per la realizzazione di diverse “Grandi Opere”, ferroviarie ed autostradali tra le quali figurano: - la linea ferroviaria alta velocità Milano – Verona (tratta Brescia – Verona), conferiti dal Consorzio CEPAV DUE, aggiudicatario dei lavori; - il Nodo TAV di Firenze per il sotto attraversamento della città, conferiti dal Consorzio NODAVIA, aggiudicatario dei lavori; - la tratta ferroviaria alta velocità Firenze Bologna, conferiti dal Consorzio CAVET, aggiudicatario dei lavori; - la tratta ferroviaria ala velocità Genova - Milano Terzo Valico di Giovi, conferiti dal Consorzio COCIV, aggiudicatario dei lavori; - l’autostrada Civitavecchia - Orte - Mestre, conferiti dal Consorzio “ILIA OR - ME, aggiudicatario dei lavori; - l’autostrada Reggiolo Rolo – Ferrara, conferiti dalla Autostrada Regionale Cispadana spa; - l’Autostrada EAS EJDYER – EMSSAD in Libia, conferiti da Anas International Enterprise spa. GLI ALTRI INCARICHI Ci sono altri incarichi sospetti ottenuti da Stefano Perotti, come direttore dei lavori o per la progettazione, Incalza garantiva il superamento degli ostacoli burocratici e riceveva come contropartita l’affidamento di incarichi di consulenza e/o tecnici a soggetti da lui indicati, lautamente retribuiti. Contestati: - il Macro lotto dell’autostrada A3, Salerno Reggio Calabria, dal consorzio ITALSARC; -la progettazione del nuovo centro direzionale ENI di San Donato Milanese. IL RAPPORTO DI DIPENDENZA DEL CONTROLLORE CON IL CONTROLLATO Secondo l’accusa il sistema ha sfruttato la previsione normativa, contenuta nel Codice degli Appalti, che affida al contraente generale l’esecuzione dei lavori e la loro direzione. La legge ha definito la figura del “general contractor” quale soggetto giuridico che garantisce alla P.A. committente la realizzazione di opere strategiche “chiavi in mano”, occupandosi anche della progettazione e della gestione della fase realizzativa dell’opera direttamente, o attraverso imprese terze. Inoltre le convenzioni e i successivi contratti fra l’ente appaltante e il general contractor prevedono che il direttore dei lavori designato e il suo staff debbano avere il preventivo gradimento dell’ente appaltante. Proprio il rapporto di “dipendenza” del controllore (che dovrebbe agire nell’interesse della P.A..) con il controllato è stato sfruttato dagli indagati per la realizzazione dei propri fini di arricchimento illecito, facilitando l’accoglimento delle pretese degli esecutori dell’opera in termini di minori controlli e accettazione di riserve e varianti, con il conseguente incremento dei costi dell’opera e quindi dei guadagni. PAOLO COLONNELLO paolo colonnello Lui è “l’uomo che collega”: affari e politica, carriere e ministri, mazzette e ideali. Ercole Incalza, 70 anni compiuti, inossidabile gran boiardo di Stato, si riassume in pochi numeri: 14 volte indagato in 14 inchieste e sempre uscito indenne; 14 anni ai vertici del Ministero delle Infrastrutture con 7 governi diversi e 5 ministri. Di ogni schieramento. Arrivato nel 2001 come capo della segreteria tecnica di Pietro Lunardi (governo Berlusconi), Incalza ha resistito allo sbarco di Antonio Di Pietro (governo prodi), quindi è stato promosso capo struttura di missione da Altero Matteoli (di nuovo Berlusconi), confermato da Corrado Passera (governo Monti) ereditato dal ciellino Maurizio Lupi (governo Letta) e poi ancora da Lupi (governo Renzi). Il quale, giustamente, ricorda il tocco magico sulle vicende giudiziarie del suo dirigente: «E’ sempre stato assolto». Sorvolando, come si conviene in questi casi, su certi proscioglimenti dovuti a prescrizioni. O sul fatto che, in un modo o nell’altro, Ercole Incalza è uno di quei nomi che ricorrono come il prezzemolo in tutti i piatti delle grandi opere. Sebbene la carriera sia iniziata da molto lontano, al ministero dei Trasporti della cosiddetta “sinistra ferroviaria” del socialista Claudio Signorile, proseguita poi con Lorenzo Necci per l’Alta Velocità come general contractor per Eni, Iri, Fiat, Montedison. Concessioni spartite a tavolino, con appalti finiti regolarmente nel mirino della magistratura. Il bello di Incalza è che lui attraversa certe inchieste come i fantasmi scozzesi certi antichi manieri: non viene indagato ma è citato nell’ordinanza di arresto per il caso Mose di Venezia, dove viene intercettato in un paio di passaggi delicati per il Consorzio Venezia Nuova: quello relativo alle nomine del Magistrato delle Acque e quando vengono sbloccati i finanziamenti dal governo Berlusconi per 400 milioni di euro al Consorzio. Una grande festa. Chissà perchè, Incalza compare e scompare anche nell’inchiesta su Expo. Ci pensa un vecchio arnese Dc come Gianstefano Frigerio, quello della “cupoletta” dei pensionati, ad evocarlo: «C’è un casino sulla Pedemontana», spiega all’ex capo di Infrastrutture Lombarde (poi arrestato e patteggiante) Antonio Rognoni. Perchè i fondi al Cipe erano bloccati e Frigerio chiedeva una «riunione a Roma con Lupi, Maroni e con quelli che ci stanno lavorando, anche con Ercole Incalza». Niente di strano. Chi mai dovrebbe occuparsi di finanziamenti e appalti se non il dirigente più navigato delle Infrastrutture? Il punto infatti non è questo, ma il fatto che a parlare di lui siano sempre personaggi non esattamente con la coscienza a posto. E che lui, Incalza, sembri diventato inamovibile, anche con il “rottamatore” Matteo Renzi, nonostante non poche ombre abbiano accompagnato la sua carriera. Perché? Mistero. Per dire, nel luglio 2004, mentre l’architetto Angelo Zampolini pagava parte della casa al Colosseo dell’inconsapevole ex ministro Scajola, sganciava contemporaneamente anche 520 mila euro in assegni circolari e altri 300 mila euro in assegni bancari al venditore di una bellissima casa a due passi da Piazzale Flaminio, a Roma. Acquirente era il genero di Incalza, che di suo pare abbia tirato fuori solo 390 mila euro, il prezzo dichiarato dal notaio. Un mese prima però, Zampolini aveva firmato un preliminare di acquisto con il vero prezzo: un milione e 400 mila euro. Il genero, Alberto Donati, sentito nel 2010 dalla Guardia di Finanza, si giustifica così: «Io e mia moglie cercavamo una casa e tramite mio suocero, Ercole Incalza, all’epoca consigliere del ministro Lunardi, su suggerimento dato da Angelo Balducci a mio suocero, fummo contattati dall’architetto Angelo Zampolini. E il 7 luglio 2004 consegnammo l’intera cifra pattuita che era di 390 mila euro». Zampolini conferma, spiega di aver messo di tasca propria il resto e aggiunge che il vero protagonista di questa storia a “insaputa del genero” era il suocero, ovvero Ercolino: «Abbiamo fatto un sopralluogo nella casa con Incalza». Ci si potrebbe chiedere come sia possibile che un uomo abituato a valutare i costi (e i benefici…) di grandi opere non si sia accorto del valore reale di una casa in centro a Roma. Ma sarebbe un domanda oziosa. Incalza non ha mai voluto spiegare a nessuno perché Anemone o chi per lui pagò 820 mila euro di una casa di 8,5 vani catastali al terzo piano in centro, destinata alla figlia. Eppure, era lui a comandare nel momento in cui gli appalti venivano distribuiti anche ad Anemone. In compenso è stato ringraziato calorosamente proprio dal ministro Lupi, nel 2005 al Meeting di Rimini, cioè un anno dopo l’acquisto della casa con i soldi di Zampolini. «Voglio ringraziare davanti a tutti - disse entusiasta Lupi - una persona che ho incontrato in questi anni, un prezioso collaboratore del ministro Lunardi ma prezioso collaboratore di tutti noi. Volevo presentare e fare un applauso a Ercole Incalza che è, credo, una persona eccezionale e un patrimonio per il nostro Paese». Amen. Di certo ora suona ancor più strano il fatto che un anno fa sia stato confermato al ministero nonostante fosse già indagato per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e all’abuso proprio dalla procura di Firenze che stamane lo ha arrestato, perché avrebbe agevolato il consorzio Nodavia (capeggiato dalla Coop rossa Coopsette) impegnata nei lavori dell’alta velocità di Firenze, insieme alla presidente dell’Italfer Maria Rita Lorenzetti, ex presidente dell’Umbria. Dal ministero precisano che il contratto con Incalza «è cessato in data 31 dicembre 2014». Secondo i pm «Incalza portava un rilevante contributo agli obiettivi dell’associazione in quanto dirigente dell’Unità di Missione del Ministero cui faceva riferimento l’appalto Tav di Firenze, si attivava per attestare falsamente che l’autorizzazione paesaggistica non era scaduta e che i lavori erano iniziati entro i 5 anni e successivamente attestava che le varianti al progetto non erano essenziali». REPUBBLICA.IT Corruzione, induzione indebita, turbativa d’asta ed altri delitti contro la Pubblica amministrazione, sono alcune delle accuse che hanno portato all’arresto dell’ex super-dirigente del ministero dei Lavori pubblici Ercole Incalza, uno dei quattro arrestati nell’inchiesta condotta dal Ros e dai pm fiorentini Giuseppina Mione, Luca Turco e Giulio Monferini con oltre 50 indagati. Gli altri sono gli imprenditori Stefano Perotti e Francesco Cavallo, e Sandro Pacella, collaboratore di Incalza. Nel mirino la gestione illecita degli appalti delle Grandi Opere per quello che i magistrati definiscono un "articolato sistema corruttivo che coinvolgeva dirigenti pubblici, società aggiudicatarie degli appalti ed imprese esecutrici dei lavori". "Il Gip non ha ritenuto che sussistessero gli elementi di gravità per contestare l’associazione per delinquere e l’ha rigettata", ha precisato poi il procuratore di Firenze, Giuseppe Creazzo. Il comandante del Ros, Mario Parente, ha parlato di costi di opere pubbliche che "lievitavano anche del 40 per cento". Creazzo ha inoltre reso noto che "il totale degli appalti affidati a società legate a Perotti è di 25 miliardi di euro". CHI E’ INCALZA Il principale indagato è proprio Ercole Incalza. "Ercolino, che fa il bello e il cattivo tempo", come lo descrive un alto dirigente delle Ferrovie dello Stato, da oltre trent’anni figura di primissimo piano nell’ambito del ministero dei Lavori Pubblici, passato per sette diversi governi, fino all’esecutivo Renzi. Ma lo stesso ministero precisa che dallo scorso dicembre non ha più alcun incarico, neppure a titolo gratuito. "Come emerge dalle indagini - si legge nell’ordinanza - Incalza dirige con attenzione ogni grande opera, controllandone l’evoluzione in ogni passaggio formale: è lui che predispone le bozze della legge obiettivo, è lui che, di anno in anno, individua le grandi opere da finanziare e sceglie quali bloccare e quali mandare avanti, da lui gli appaltatori non possono prescindere". E senza il suo intervento, dice Giovanni Paolo Gaspari, già alto dirigente del Gruppo ferrovie dello Stato e consigliere presso il ministero delle Infrastrutture, al telefono con Giulio Burchi, già presidente di Italferr spa, "al 100% non si muove una foglia...si sempre tutto lui fa...tutto tutto tutto!...ti posso garantire...ho parlato con degli amici..". Ma aggiungono anche: "Vabbè...ma non l’hanno capito che la gente si sta scocciando di tutte queste porcate e prima o poi farà casino?". Dai cantieri Tav all’Expo, la maxi inchiesta "Sistema" Navigazione per la galleria fotografica 1 di 5 Immagine Precedente Immagine Successiva Slideshow () () I POLITICI INDAGATI Fra gli indagati anche politici già sottosegretari come Vito Bonsignore, ex Forza Italia e Ncd e Antonio Bargone, Pd ed ex sottosegretario ai lavori pubblici nei governi Prodi e D’Alema, in relazione alla promessa della direzione lavori all’ingegnere Stefano Perotti da parte della sociatà consortile Ilia Orme che proponeva il project financing per la realizzazione dell’autostrada Civitavecchia-Orte-Mestre. Tra i politici coinvolti anche Stefano Saglia, ex Pdl e Ncd ed ex sottosegretario al Ministero per lo sviluppo economico per turbativa d’asta in relazione al bando di gara emessa dall’autorità portuale di Trieste per il collaudo della Hub portuale di Trieste in cui compare anche il nome di Rocco Girlanda, ex Pdl. Tangenti, il "sistema" Incalza-Perotti spiegato dal pm Condividi Le ordinanze di custodia cautelare sono in corso di esecuzione dalle prime ore di questa mattina a Roma e a Milano da parte dei militari dell’Arma che hanno anche effettuato in diverse regioni un centinaio di perquisizioni di uffici pubblici e sedi societarie riconducibili agli indagati. Uno degli imprenditori arrestati vive a Firenze ed è titolare di una società di ingegneria impegnata in alcuni grandi lavori, come Tav Firenze, City Life e Fiera Milano, Metro 5 Milano, Fiera di Roma, Autostrada Salerno-Reggio Calabria. L’inchiesta nasce dagli appalti per l’Alta velocità nel nodo fiorentino e per il sotto-attraversamento della città. Da lì l’inchiesta si è allargata a tutte le più importanti tratte dell’Alta velocità del centro-nord Italia ed a una lunga serie di appalti relativi ad altri Grandi Opere, compresi alcuni relativi all’Expo. IL MINISTRO LUPI E IL FIGLIO LUCA Nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Firenze compare anche Luca Lupi, figlio del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Maurizio Lupi, entrambi non indagati "Effettivamente, Stefano Perotti", l’imprenditore arrestato, "ha procurato degli incarichi di lavoro a Luca Lupi", dice il magistrato. Il gip annota che il 21 ottobre 2014, uno degli indagati, Giulio Burchi, "racconta anche al dirigente Anas, ingegner Massimo Averardi, che Stefano Perotti ha assunto il figlio del ministro Maurizio Lupi". Segue l’intercettazione: "Ho visto Perotti l’altro giorno, tu sai che Perotti e il ministro sono non intimi, di più. Perché lui ha assunto anche il figlio, per star sicuro che non mancasse qualche incarico di direzione lavori, siccome ne ha soli 17, glieli hanno contati, ha assunto anche il figlio di Lupi, no?". Poi, il primo luglio 2014, sempre Burchi a Averardi: "il nostro Perottubus ha vinto anche la gara, che ha fatto un ribasso pazzesco", ha vinto "anche il nuovo palazzo dell’Eni a San Donato e c’ha quattro giovani ingegneri e sai uno come si chiama? Sai di cognome come si chiama? Un giovane ingegnere neolaureato, Lupi, ma guarda i casi della vita". "Perotti - continua il gip - nell’ambito della commessa Eni, stipulerà un contratto con Giorgio Mor, affidandogli l’incarico di coordinatore del lavoro che, a sua volta, nominerà quale ’persona fissa in cantiere’ Luca Lupi" per 2 mila euro al mese. Replica però il ministro: "Non ho mai chiesto all’ingegner Perotti né a chicchessia di far lavorare mio figlio. Non è nel mio costume e sarebbe un comportamento che riterrei profondamente sbagliato". I REGALI Nell’ordinanza si parla anche di regali che gli arrestati avrebbero fatto al ministro e ai suoi familiari: un vestito sartoriale Lupi e un Rolex da 10mila euro al figlio, in occasione della laurea. A regalare il vestito al ministro sarebbe stato Franco Cavallo, uno dei quattro arrestati oggi che secondo gli inquirenti aveva uno "stretto legame" con Lupi tanto da dare "favori al ministro e ai suoi familiari". "Da una telefonata del 22 febbraio 2014 - si legge nell’ordinanza - emerge che Vincenzo Barbato", un sarto che avrebbe confezionato un abito per Emanuele Forlani, della segreteria del ministero, "sta confezionando un vestito anche per il ministro Lupi". Spuntano anche delle intercettazioni delle conversazioni di Lupi con Incalza. "Su questa roba ci sarò io lì e ti garantisco che se viene abolita la Struttura tecnica di missione non c’è più il governo!..", dice in una conversazione telefonica il ministro (non indagato) all’ingegnere ora in arresto. "L’importanza della Struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture - scrive il Gip - è ben rappresentata" nel colloquio: "il ministro Lupi, infatti, a fronte della proposta di soppressione di tale struttura o di passaggio della stessa sotto la direzione della presidenza del Consiglio arriva a minacciare una crisi di governo. "... Vado io guarda...", dice il ministro, "siccome su questa cosa... te lo dico già.. però io non voglio.. cioè vorrei che tu dicessi a chi lavora con te che sennò vanno a cagare... ho capito!.. ma non possono dire altre robe!.. "Su questa roba ci sarò io lì e ti garantisco che se viene abolita la Struttura tecnica di missione non c’è più il governo!.."l’hai capito non l’hanno capito?!". PERQUISIZIONI Tra i luoghi perquisiti - oltre ad uffici della Rete Ferroviaria Italiana Spa e dell’Anas International Enterprises - anche ambienti della Struttura di Missione presso il Ministero delle Infrastrutture, delle Ferrovie del Sud Est Srl, del Consorzio Autostrada Civitavecchia-Orte-Mestre, dell’Autostrada regionale Cispadana Spa e dell’Autorità portuale Nord Sardegna. Alcune perquisizioni sono state svolte con il concorso di personale dell’Agenzia delle Entrate per gli accertamenti di competenza in materia fiscale. L’esecuzione dei provvedimenti ha interessato le province di Roma, Milano, Firenze, Bologna, Genova, Torino, Padova, Brescia, Perugia, Bari, Modena, Ravenna, Crotone e Olbia. Tangenti su appalti Tav, le indagini dei Ros Condividi IL PROCURATORE ANTIMAFIA "APPROVARE SUBITO DDL GRASSO" Sono passati 731 giorni da quando il presidente del Senato Grasso ha presentato il suo disegno di legge, uno strumento utile per fermare la corruzione", dice il procuratore antimafia Franco Roberti. "Bisognerebbe approvare la legge sulla corruzione nella versione, a mio avviso, proposta dal presidente del Senato Grasso, e poi probabilmente bisognerebbe intervenire anche sulla cosiddetta legge Obiettivo del 2001. Adesso – ha spiegato - è presto per definire i cordoni di questo eventuale intervento ma probabilmente qualcosa bisogna rivedere anche in quella legge". REAZIONI DA PARTITI ED EX MINISTRI Decine di dichiarazioni sul caso dell’arresto di Ettore Incalza, da Di Pietro, ex ministro ai Lavori pubblici a Grillo che invoca: "Tutti in galera". RITRATTO DI INCALZA Secondo Giovanni Paolo Gaspari, alto dirigente delle Ferrovie, "è lui che decide i nomi...fa il bello e il cattivo tempo ormai là dentro...o dominus totale". Dal G8, alla Tav, al Mose: il nome di Ercole Incalza ("Ercolino", come lo chiama lo stesso Gaspari in una telefonata intercettata dal Ros il 25 novembre del 2013), arrestato oggi, ricorre in tutte le grandi opere - e inchieste - degli ultimi 30 anni in Italia. L’ingegnere pugliese nato nel brindisino il 15 agosto del ’44, è stato per molti anni dirigente di vertice al ministero delle Infastrutture e dei Trasporti per poi divenirne consulente esterno: ultimo incarico come capo della struttura tecnica di Missione per l’esame delle questioni giuridiche connesse alla realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale. Incalza appare nel mondo dei lavori pubblici alla fine degli anni ’70 alla Cassa per il Mezzogiorno, della quale diventa dirigente nel 1978, assumendo nel marzo 1980 la responsabilità del Progetto Speciale dell’Area Metropolitana di Palermo.Giovane socialista pugliese approda al ministero dei Trasporti con Claudio Signorile. Nel 1983 è consigliere del ministro dei Trasporti, poi nel giugno 1984 assume la responsabilità di Capo della Segreteria Tecnica del Piano Generale dei Trasporti. Dal gennaio 1985 Dirigente Generale della Direzione Generale della Motorizzazione Civile e dei Trasporti in Concessione, passa alle Ferrovie dello Stato nell’agosto 1991, per diventare Amministratore Delegato della Treno Alta Velocità TAV S.p.A. dal settembre 1991 al novembre 1996. Nel 1998 finisce ai domiciliari insieme all’ex presidente di Italferr Maraini. Tangenti su appalti Tav, le indagini dei Ros Condividi Dopo la bufera della Tangentopoli di Necci e Pacini Battaglia a metà degli anni Novanta, Incalza torna alla ribalta al ministero di Porta con Pietro Lunardi e diventa poi il braccio destro del ministro Altero Matteoli con l’incarico di capo della struttura tecnica di missione. Negli ultimi anni sempre più numerose le inchieste; a febbraio i pm fiorentini Giulio Monferini e Gianni Tei ne avevano chiesto il rinvio a giudizio insieme ad altre 31 persone nell’inchiesta sul sottoattraversamento fiorentino della Tav. Nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal Gip di Firenze compare anche il nome di Luca Lupi, figlio del ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Maurizio. CINQUANTAMILA • Francavilla Fontana (Brindisi) 15 agosto 1944. Ingegnere. Architetto. Dal 2001 capo della struttura tecnica di missione che cura le grandi opere al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. • Dal 1991 lavora per l’alta velocità, «quando Fs fondò la Tav e lui ne divenne amministratore delegato. La carriera di Incalza comincia con il socialista Claudio Signorile che gli aprì le porte del ministero dei Trasporti. Fu poi il padre, con Lorenzo Necci, dell’affidamento diretto a Eni, Fiat e Iri, i tre “General Contractor” per la costruzione delle prime linee ad alta velocità in Italia. (…) Per varie vicende, sempre legate a cantieri e all’alta velocità, Incalza è stato coinvolto in 14 procedimenti giudiziari e in tutti e 14 i casi ne è uscito con il proscioglimento» (Cosimo Caridi) [Fat 16/5/2013]. • Nel gennaio 2013, «indagato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e all’abuso a Firenze perché, insieme con la presidente di Italferr ed ex presidente della Regione Umbria, Maria Rita Lorenzetti avrebbe agevolato il consorzio Nodavia (capeggiato dalla coop rossa Coopsette) nell’ambito dei lavori dell’alta velocità di Firenze. Incalza, secondo i pm, “portava un rilevante contributo agli obiettivi dell’associazione in quanto dirigente della unità di missione del ministero a cui faceva riferimento l’appalto Tav di Firenze, si attivava per attestare falsamente che l’autorizzazione paesaggistica non era scaduta e che i lavori erano iniziati entro i cinque anni e successivamente attestava che le varianti al progetto non erano essenziali”. In pericolo, secondo i magistrati, c’era un importante monumento fiorentino, la Fortezza da Basso (…). Lo scavo del tunnel dell’alta velocità, per i pm, poteva lesionare le fondamenta della Fortezza. (…) Nel 2004, il genero, comprò una casa a due passi da piazzale Flaminio, a Roma, per 390 mila euro. A fronte di un preliminare firmato da Incalza alla cifra di 1,140 milioni. Intermediari della vicenda furono Angelo Zampolini e Diego Anemone, l’architetto della casa di Claudio Scajola e uno dei membri della cricca dei grandi eventi, un’altra vicenda per cui Incalza è finito sotto la lente delle procure» (L43 21/2/2014).