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 2015  marzo 16 Lunedì calendario

Una domenica di Serie A senza molte emozioni, con la Juventus che aveva già giocato e vinto, e Lazio, Roma e Fiorentina che giocheranno stasera. Unico sussulto, la sconfitta del Napoli a Verona, affondato dal turnover di Benitez e dai gol dell’eterno Toni. Niente di nuovo dall’Inter, bella (a tratti) e incompiuta

Il meglio dai giornali di oggi sull’ultima giornata di Serie A.
 
Quando il primo è già sotto la doccia, al traguardo arriva il secondo. Si diceva così, nel ciclismo dei tempi eroici e delle memorabili fughe. Nulla di eroico in questo nostro calcio, ma di sicuro la Juventus è ben oltre la doccia: stasera i bianconeri potrebbero pure guardarsi un film invece di Roma-Samp, destino ininfluente, incrocio superfluo, ci sono 14 punti scavati col badile a separare lo scudetto juventino e l’altro campionato [Maurizio Crosetti, Rep].
 
L’altro campionato: vale il secondo posto e stavolta si gioca di lunedì, con Lazio e Roma a sgomitare dopo che il Napoli non si è manco presentato in campo a Verona (smisurato Luca Toni, la copertina è tutta sua), dove c’erano solo undici magliette vuote. Alle tre del pomeriggio di una domenica assente, sono comparse (senza offesa) solo Atalanta, Udinese, Genoa, Chievo, Sassuolo e Parma, appena sei squadre, anzi cinque e mezza (la mezza, il povero Parma, ne ha pure presi quattro): giusto in quelle città avranno tenuto le tv e le radio accese, e non è neanche detto. In compenso, la Juve aveva giocato sabato a Palermo, e il mini torneo dei secondi arriva oggi per aprire la settimana della Champions e dell’Europa League. Bisogna farselo bastare [Maurizio Crosetti, Rep].
 
In questo momento della stagione il calcio è stanco in generale, soprattutto in Italia. Con la primavera un po’ di corsa tornerà, ma questo resta per tutti il momento peggiore. La cosa è evidente sui campi. Pochi tiri, continue mischie sulle trequarti. La stessa Juve vince con l’unico tiro, peraltro bellissimo. Molto difficile per chi guarda appassionarsi a una partita solo per il piacere del calcio. Bisogna avere grandi interessi sentimentali [Mario Sconcerti, Cds].
 
La leggenda vuole che in Italia si sia lenti. È la lentezza che rende tutto evitabile. È vero ma non è una carenza di preparazione. Quella ormai è come gli antibiotici, è uguale in tutto il mondo, quasi impossibile sbagliarla. È solo vero che in tutta Europa si gioca diversamente. Gli altri corrono e pressano, giocano in modo verticale. Noi schermiamo, alziamo piccole barriere che moltiplicano gli uomini addetti a coprire il campo soprattutto in largo. Ma non sono meglio di noi. La differenza vera è negli uomini. Se c’è una cosa eccezionale in questi anni di calcio globale è la buona qualità media dei giocatori e la mancanza di fuoriclasse. Questo limita anche le conseguenze degli investimenti dei nuovi ricchi, hanno soldi ma non hanno molto da comprare. Così dominano le squadre con gli unici fuoriclasse a disposizione [Mario Sconcerti, Cds].
 
A rendere emozionante e avvincente la volata per il terzo posto è l’inatteso derby tra Roma e Lazio. Solo a gennaio, ipotizzare un simile testa a testa sarebbe stato folle. D’altronde la Roma si è fermata al palo, mentre la Lazio ha cominciato a volare. Ora sono vicine, stimolate dalla rivalità, possono regalare un finale mozzafiato. Per entrambe sarà fondamentale approfittare delle situazioni: Torino e Samp, grazie al ko del Napoli, sono le prime prede, sarebbe imperdonabile renderle indigeste [Massimo Caputi, Mes].
 
L’Inter esiste solo nell’ultimo quarto d’ora quando trova spazio sulle ali e quando il Cesena perde organizzazione con la stanchezza. L’attacco è la cosa migliore di una squadra che non ha chi sappia costruire gioco. Nessuno cerca lo spazio, i passaggi sono solo sui piedi dei giocatori che aspettano immobili. Il gol degli altri arriva sempre. Comincia a mostrare limiti anche l’autostima, vengono meno gli scopi. Mancini non è tecnico da cose normali, reagirà, ma la squadra è davvero leggerina. Non è da cambiare, è da inventare [Mario Sconcerti, Cds].
 
È bella la storia di Luca Toni che a 37 anni segna ancora: 13 gol in 27 partite. È bella la storia di Antonio Di Natale che a 37 anni segna ancora: 10 gol in 23 partite. Belle, sì, le loro storie. Perché sono i due attaccanti italiani più avanti nella classifica marcatori: quinto e settimo. Dietro o tra di loro ci sono quattro argentini e un francese. Belle, sì, le storie delle loro squadre, cioè Verona e Udinese che credono in questi due centravanti diversi e fortissimi. Lottano per salvarsi entrambe e riusciranno a raggiungere il loro obiettivo grazie a quei due. E racconteremo di come non ci sia età per quelli che sanno giocare a pallone [Giuseppe De Bellis, Grn].
 
Aggrappati alla retorica come siamo non vediamo la morale unica e opposta che c’è dietro le due storie. Se i due attaccanti italiani che segnano di più hanno 37 anni significa che i giovani non esistono. Non sgomitano abbastanza, non combattono a sufficienza. Perché siamo stati anni a rimproverarci che non credevamo nei ragazzi, senza neanche immaginare che ci potesse essere anche un’altra verità. Oggi che i giovani sono stati lanciati, che spesso vengono provati anche al di là degli oggettivi meriti, dove sono i risultati? I ragazzini stranieri funzionano: Dybala e Icardi, Pogba, Salah, Felipe Anderson. I nostri no [Giuseppe De Bellis, Grn].