La Stampa, 16 marzo 2015
Laura Boldrini si racconta in un libro per Einaudi. In “Lo sguardo lontano” la terza donna presidente della Camera parla della sua esperienza personale, delle sue passioni e spiega anche come intende portare avanti il suo lavoro verso la «buona politica», tra difficoltà e compromessi
Laura Boldrini è la terza donna eletta Presidente della Camera. Dopo Nilde Iotti, la compagna di vita di Togliatti, una storia monumentale, dalla Resistenza alla fine della Prima Repubblica; dopo Irene Pivetti, salita a soli 32 anni sullo scranno più alto di Montecitorio e uscita presto dalla politica, per dedicarsi alla carriera di conduttrice televisiva, è toccato a lei, la paladina dei diritti dei rifugiati, una vita passata sui confini più disperati dell’ingiustizia e dell’emarginazione sociale.
Candidata a sorpresa da Nichi Vendola per Sel con una telefonata che la raggiunge ad Atene il 18 dicembre 2012, mentre è intenta a portare soccorso e solidarietà alle vittime di colore della violenza poliziesca, eletta il 16 marzo successivo alla presidenza da un centrosinistra esausto, tramortito dalla vittoria di Grillo e deciso a caricarla del compito gravoso di simboleggiare il riscatto della «buona politica» di fronte al dilagare dell’antipolitica, Boldrini adesso racconta in un libro (Lo sguardo lontano, in uscita per Einaudi, pp. 240, € 18) la sua esperienza, incredibile prima di tutto per lei stessa, che non s’aspettava di essere chiamata a una così grande responsabilità e in un periodo talmente difficile.
Dal Tibet, da Machu Picchu, dai Buddha di Bamiyan, da Somalia, Mozambico, Sudan, Ruanda, Angola, Tanzania all’aula del Palazzo per definizione, l’emiciclo sovrastato dalla grande vetrata del Basile, che, al solo affacciarci il naso per la prima volta, le mette soggezione e le sollecita una grande emozione.
Quanti ostacoli
Trattandosi di un periodo tutto sommato breve, ancorché tempestoso, Boldrini si guarda bene da valutazioni definitive e dal trarre bilanci: si limita a far capire, sulla base della nuova esperienza, che il cammino verso «la buona politica», a cui il libro è dedicato, è assai più irto di ostacoli di quel che potesse immaginare. Un solo esempio per tutti: il modo in cui è stata praticamente costretta a rinunciare alla battaglia per un regolamento parlamentare più snello, più funzionale, che eviti le duplicazioni burocratiche e l’inutile spettacolarizzazione degli scontri alla Camera, dando al governo e all’opposizione distinte corsie protette per far marciare le proprie proposte, e apra uno spazio reale per le iniziative di legge che vengono dai cittadini. La Presidente non scrive quale dei partiti rappresentati nella conferenza dei capigruppo l’abbia fermata, ma proprio per questo è facile intuire che siano stati tutti insieme, e ognuno ci abbia messo del suo, in nome del tanto peggio tanto meglio.
Insulti e consensi dal web
Difficoltà piccole e grandi si sommano e appaiono inspiegabili, specie per chi, provenendo dalle file dell’intervento umanitario – in cui l’unica cosa che pesa è la contabilità quotidiana delle vite salvate, non il prezzo -, può trovare inspiegabile che le si opponga un rifiuto a cambiare l’intestazione ufficiale, stampata sulle lettere, da «il Presidente» a «la Presidente» della Camera, o si cerchi di rinviare i tagli agli stipendi, notoriamente alti, del personale a qualsiasi livello, o ancora che l’applicazione delle regole esistenti, non di quelle nuove che avrebbe voluto introdurre, sollevi un putiferio pure quando deve intervenire con la «tagliola» di un fiume di emendamenti presentati solo a scopo di ostruzionismo.
Boldrini inoltre non avrebbe mai immaginato il livello di odio, di violenza verbale, di avvertimenti mafiosi che sulla rete si sviluppa nei confronti degli inquilini del Palazzo. Anche contro di lei, che fino a qualche giorno prima di essere eletta deputata e poi proiettata verso la presidenza, quel pezzo di società civile emarginato, abbandonato, vilipeso, lo aveva frequentato con passione e assiduità, che insomma aveva fatto qualcosa per quelli che, senza fare distinzione, ora se la prendono con tutti o quasi tutti, compresa lei, bersagliata di frasi oscene, minacce di sottomissione sessuale, stupro, agguati violenti o morte, fino a foto taroccate in cui la sua testa appare incollata su corpi nudi di donne violate.
Per fortuna la rete non corrisponde sempre all’effettivo atteggiamento della società, spesso è anzi lo sfogatoio di chi si esercita al peggio per macabro divertimento: Boldrini ha modo anche di misurare la comprensione di molte sue iniziative di apertura della Camera all’esterno, dalla moltiplicazione del numero di delegazioni ammesse a Montecitorio, ad alcune sue prese di posizione a favore degli omosessuali, sulla povertà, sui rischi e sugli infortuni sul lavoro, o contro la Fiat, quando rifiuta l’invito dell’amministratore delegato Marchionne a visitare uno stabilimento, perché contiene un riferimento a un suo incontro con il capo della Fiom Landini.
Un manifesto politico?
Naturalmente, tra quelli che leggeranno il libro, ci sarà anche chi dirà che non si tratta solo del diario ben scritto di un’esperienza inattesa, ma piuttosto di un manifesto politico, o per «un’altra politica», di un’aspirante leader pronta a scendere in campo. È possibile, anche se – va detto – non una delle 233 pagine del libro autorizza una simile interpretazione, e anzi il racconto qui e là è percorso da un’indicibile nostalgia per il lavoro che Boldrini faceva prima di diventare deputata. Ma a ogni buon conto, se anche questa fosse un’intenzione nascosta, basterà ricordare alla Presidente il destino che ha accompagnato i suoi ultimi predecessori: usciti dalla politica attiva, o finiti ai suoi margini, quando hanno provato a usare come trampolino di lancio la super-poltrona di Montecitorio.